Sammlung der Entscheidungen des Schweizerischen Bundesgerichts
Collection des arrêts du Tribunal fédéral suisse
Raccolta delle decisioni del Tribunale federale svizzero

BGE 133 V 367



Urteilskopf

133 V 367

  48. Estratto della sentenza della I Corte di diritto sociale nella causa
Segretariato di Stato dell'economia contro C. nonché Tribunale delle
assicurazioni del Cantone Ticino (ricorso di diritto amministrativo)
  C 101/04 del 9 maggio 2007

Regeste

  Art. 14 Abs. 1 lit. b AVIG (in der seit 1. Januar 2003 gültigen Fassung);
Art. 2 FZA; Art. 9 Abs. 2 von Anhang I zum FZA; Art. 7 Abs. 2 der Verordnung
Nr. 1612/68: Rechtliche Natur der Befreiung von der Erfüllung der
Beitragszeit und Euro-Kompatibilität der schweizerischen Wohnsitzklausel.

  Die Befreiung von der Erfüllung der Beitragszeit gemäss Art. 14 Abs. 1
AVIG stellt einen sozialen Vorteil im Sinne des Art. 7 Abs. 2 der Verordnung
Nr. 1612/68 und, als Ausfluss davon, des Art. 9 Abs. 2 von Anhang I zum FZA
dar (E. 8.8).

  Als Instrument zur Bestätigung eines realen Bezugs zum schweizerischen
Arbeitsmarkt ist die mit Art. 14 Abs. 1 lit. b AVIG eingefügte Bedingung
eines schweizerischen Wohnsitzes im konkreten Fall weder objektiv
gerechtfertigt noch verhältnismässig (E. 9.8).

  Das vertragliche Diskriminierungsverbot (Art. 9 Abs. 2 von Anhang I zum
FZA) geht vorliegend der Regelung in Art. 14 Abs. 1 lit. b AVIG vor (E.
11.6).

Sachverhalt

  A.- C., cittadino svizzero, di professione consulente finanziario, è stato
alle dipendenze della ditta X. SA dal 1° gennaio 1975 al 30 aprile 2001,
data per la quale ha disdetto il proprio rapporto di lavoro a causa di
motivi di salute. Inabile al lavoro a dipendenza di alterazioni degenerative
cervicali e lombari con periartrite invalidante, l'interessato, su
indicazione del medico curante, dott. M., specialista in chirurgia, ha
dovuto soggiornare all'estero (dal 1° giugno 2001 al 31 dicembre 2002 in
Grecia e in Italia; dal 1° gennaio al 1° marzo 2003 in Austria) per
sottoporsi a cure specifiche in ambiente climatico adeguato. Rientrato,
guarito, in Svizzera e dichiarato pienamente abile al lavoro dal 24 febbraio
2003, C. in data 14 marzo 2003 si è annunciato all'assicurazione contro la
disoccupazione chiedendo l'erogazione delle relative indennità a partire da
quest'ultima data.

  Il 22 maggio 2003 la Cassa disoccupazione cristiano sociale (OCST) ha
sottoposto per decisione alla Sezione del lavoro del Cantone Ticino la
questione se l'istante, per il periodo di inabilità lavorativa trascorso
all'estero, potesse essere esonerato dall'adempimento del periodo di
contribuzione. Per decisione del 3 giugno 2003, sostanzialmente confermata
il 14 luglio seguente anche in

seguito all'opposizione interposta dall'assicurato, la Sezione cantonale del
lavoro ha risposto negativamente e ha osservato che, per legge, un esonero
dall'adempimento del periodo di contribuzione a dipendenza di malattia
sarebbe stato unicamente possibile se l'assicurato, durante tale periodo,
fosse stato domiciliato in Svizzera.

  B.- Con il patrocinio dello studio legale Bernasconi & Riva, C. ha
deferito l'atto amministrativo al Tribunale delle assicurazioni del Cantone
Ticino, il quale, per pronuncia del 5 maggio 2004, ne ha accolto il gravame.
Annullata la decisione su opposizione, la Corte cantonale ha rinviato gli
atti all'amministrazione con il compito di verificare l'adempimento degli
ulteriori requisiti legali per il diritto alle indennità di disoccupazione.

  C.- Il Segretariato di Stato dell'economia (seco) ha interposto ricorso di
diritto amministrativo al Tribunale federale delle assicurazioni (dal 1°
gennaio 2007: Tribunale federale), al quale chiede, in accoglimento del
gravame, di annullare la pronuncia cantonale.

  Sempre rappresentato dallo studio legale Bernasconi & Riva, l'assicurato
ha proposto la reiezione del ricorso, mentre la Sezione cantonale del lavoro
ha rinunciato a presentare conclusioni.

  D.- Invitato da questa Corte a precisare le modalità del soggiorno
all'estero, l'assicurato resistente ha presentato un esposto dettagliato
datato 11 marzo 2005. Il seco non si è determinato al riguardo.

  E.- Sempre su invito di questa Corte, le parti si sono pronunciate sulla
questione della compatibilità del diritto interno con il diritto
internazionale, nell'ipotesi, non contemplata dalla pronuncia cantonale, di
un'eventuale applicazione, nel caso di specie, dell'Accordo sulla libera
circolazione delle persone e dei Regolamenti comunitari di riferimento.

  F.- Il Tribunale federale ha indetto una deliberazione alla presenza delle
parti che si è svolta il 9 maggio 2007.

  Il ricorso di diritto amministrativo è respinto.

Auszug aus den Erwägungen:

                            Dai considerandi:

Erwägung 2

  2.  Nei considerandi dell'impugnata pronuncia, i primi giudici hanno
compiutamente esposto le disposizioni interne di legge disciplinanti la
materia e in particolare quelle regolanti il periodo minimo di contribuzione
(art. 8 cpv. 1 lett. e in relazione con l'art. 13 cpv. 1 LADI, nella
versione applicabile in concreto, in vigore fino al

30 giugno 2003 [sentenze del Tribunale federale delle assicurazioni C 154/04
del 12 luglio 2005, consid. 2.1-2.3, e C 34/04 del 20 settembre 2004,
consid. 1.2]), i termini quadro (art. 9 cpv. 3 LADI) e l'esenzione
dall'adempimento del periodo di contribuzione a dipendenza di malattia per
oltre 12 mesi durante il termine quadro (art. 14 cpv. 1 lett. b LADI, nella
versione applicabile in concreto, in vigore dal 1° gennaio 2003 [cfr., per
analogia, la sentenza del Tribunale federale delle assicurazioni C 203/03
del 21 dicembre 2006, consid. 1, pubblicata in: SVR 2007 AlV n. 9 pag. 28]).
A tale esposizione può essere fatto riferimento. È nondimeno utile
rammentare che in virtù di quest'ultimo disposto sono esonerate
dall'adempimento del periodo di contribuzione le persone che, entro il
termine quadro, durante oltre 12 mesi complessivamente, non sono state
vincolate da un rapporto di lavoro e non hanno quindi potuto soddisfare i
relativi obblighi a causa di malattia, infortunio o maternità, a condizione
che durante questo periodo siano state domiciliate in Svizzera. Adesione può
inoltre pure essere prestata al giudizio di prime cure nella misura in cui
ha dichiarato applicabile nella fattispecie la LPGA (cfr. ad esempio la
sentenza del Tribunale federale delle assicurazioni C 249/04 del 29 agosto
2005, consid. 1, pubblicata in: SVR 2006 AlV n. 3 pag. 8).

Erwägung 3

  3.

  3.1  L'autorità giudiziaria cantonale ha essenzialmente tutelato la
posizione dell'assicurato in considerazione del fatto che quest'ultimo,
trasferitosi all'estero per motivi di salute, avrebbe mantenuto il proprio
domicilio in Svizzera e avrebbe pertanto dovuto beneficiare del motivo di
esenzione dall'obbligo di adempimento del periodo di contribuzione di cui
all'art. 14 cpv. 1 lett. b LADI. A sostegno della loro tesi, i primi giudici
hanno rilevato che, pur avendo effettivamente notificato la sua partenza
definitiva dal Ticino con effetto al 30 aprile 2001 e pur avendo,
congiuntamente alla moglie, che lo ha accompagnato e assistito all'estero,
ritirato in contanti l'avere di libero passaggio, l'assicurato non avrebbe
mai avuto l'intenzione di lasciare definitivamente la Svizzera per
stabilirsi durevolmente altrove. Ciò sarebbe peraltro dimostrato dal fatto
che, durante il periodo di assenza dal Ticino, egli avrebbe continuato a
farsi seguire, a L., dal medico curante, come pure dalla circostanza del
deposito del proprio mobilio presso una ditta di L. In tali condizioni, la
Corte cantonale non ha ritenuto necessario esaminare la conformità della
disciplina LADI con le disposizioni dell'Accordo sulla libera circolazione
delle persone concluso con la Comunità europea.

  3.2  Il seco ricorda che l'entrata in vigore degli accordi bilaterali con
la Comunità europea ha indotto il legislatore svizzero a limitare il campo
di applicazione dell'art. 14 LADI - che anteriormente non prevedeva clausole
di domicilio - a coloro che dispongono di uno stretto legame con la
Svizzera, e ciò allo scopo di evitare il verificarsi di abusi. Il
Segretariato ricorrente osserva che la condizione di domicilio posta
dall'art. 14 cpv. 1 lett. b LADI sarebbe da intendere quale condizione di
soggiorno effettivo. Con riferimento al caso di specie, pur ammettendo
l'intento dell'assicurato di non volersi trasferire definitivamente
all'estero, il seco ritiene che le misure prese da quest'ultimo (il prelievo
dell'avere di libero passaggio da parte di entrambi i coniugi,
l'interruzione della copertura assicurativa in caso di malattia, l'annuncio
della partenza definitiva alle autorità comunali) attesterebbero,
quantomeno, la volontà di trasferire il luogo di dimora abituale. Non
potendo di conseguenza l'assicurato, per il periodo in esame, essere
considerato domiciliato in Svizzera ai sensi dell'art. 14 cpv. 1 lett. b
LADI, egli nemmeno potrebbe beneficiare dell'esenzione dall'obbligo di
adempimento del periodo di contribuzione.

Erwägung 4

  4.

  4.1  (esame del domicilio)
  (...)

  4.4  Il mantenimento del domicilio svizzero da parte dell'assicurato
durante il periodo di cura all'estero appare più che dubbio. La questione
non necessita comunque di ulteriori approfondimenti, in quanto, in un caso
come nell'altro, l'esito del gravame non muterebbe. Infatti anche se
l'assicurato dovesse avere trasferito il proprio domicilio all'estero, come
sembrerebbe, egli potrebbe comunque, per le considerazioni che seguono,
beneficiare dell'esenzione dall'adempimento del periodo di contribuzione di
cui all'art. 14 cpv. 1 lett. b LADI. Per le stesse ragioni non occorre
nemmeno esaminare ulteriormente l'osservazione del seco, secondo cui la
condizione di domicilio (peraltro definita in modo identico nelle tre
versioni linguistiche, la legge facendo capo ai termini di "Wohnsitz",
rispettivamente di "personnes domiciliées") posta da quest'ultimo disposto
in realtà configurerebbe una semplice condizione di residenza effettiva.

Erwägung 5

  5.

  5.1  Il 1° giugno 2002 è entrato in vigore l'Accordo del 21 giugno 1999
tra la Confederazione Svizzera, da una parte, e la Comunità

europea ed i suoi Stati membri, dall'altra, sulla libera circolazione delle
persone (ALC; RS 0.142.112.681). L'applicazione dell'Accordo dev'essere
ammessa nel caso di specie, anche dal profilo temporale (v. sentenza citata
del 21 dicembre 2006 C 203/03, consid. 4.1) e personale. L'assicurato è di
nazionalità svizzera e pertanto cittadino di uno Stato contraente. Il
necessario elemento transfrontaliero è inoltre dato in concreto dal fatto
che l'assicurato, dopo avere, per quasi due anni, soggiornato per fini
curativi in diversi Stati membri dell'UE, è rientrato in Svizzera, dove ha
precedentemente lavorato, per intraprendere una nuova attività e, in sua
mancanza, fa valere il diritto a prestazioni sociali dell'ordinamento legale
elvetico (cfr. anche DTF 132 V 423 consid. 6.4.1 pag. 429). (...)

  5.2  Giusta l'art. 9 cpv. 2 allegato I ("Libera circolazione delle
persone") ALC, emanato sulla base dell'art. 7 ALC e facente parte integrante
dell'Accordo, il lavoratore dipendente e i membri della sua famiglia di cui
all'art. 3 allegato I godono degli stessi vantaggi fiscali e sociali dei
lavoratori dipendenti nazionali e dei membri delle loro famiglie.

  L'art. 9 cpv. 2 allegato I corrisponde materialmente all'art. 7 n. 2 del
regolamento (CEE) n. 1612/68 del Consiglio del 15 ottobre 1968 relativo alla
libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunità (in seguito:
regolamento n. 1612/68; GU L 257 pag. 2; DTF 132 V 82 consid. 5.5 pag. 90).
Secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee
(CGCE) questo regolamento è applicato in via sussidiaria rispetto al
regolamento n. 1408/71 (sentenza del 27 marzo 1985 nella causa 122/84,
Scrivner e Cole, Racc. 1985, pag. 1027 segg., punto 16; PATRICIA
USINGER-EGGER, Ausgewählte Rechtsfragen des Arbeitslosenversicherungsrechts
im Verhältnis Schweiz-EU, in: Thomas Gächter [ed.], Das europäische
Koordinationsrecht der sozialen Sicherheit und die Schweiz, Erfahrungen und
Perspektiven, Zurigo/Basilea/Ginevra 2006, pag. 33 segg., pag. 39 nota 35 e
pag. 49; SILVIA BUCHER, Soziale Sicherheit, beitragsunabhängige
Sonderleistungen und soziale Vergünstigungen: Eine europarechtliche
Untersuchung mit Blick auf schweizerische Ergänzungsleistungen und
Arbeitslosenhilfen, tesi Friborgo 1999, pag. 477 cifra marg. 1174, [in
seguito: BUCHER, Soziale Sicherheit]).

Erwägung 6

  6.  Controverso in concreto è il diritto dell'assicurato a indennità di
disoccupazione a partire dal 14 marzo 2003, e in particolare il tema

di sapere se, in considerazione del soggiorno all'estero (dal 1° giugno 2001
al 1° marzo 2003) per scopo curativo e della malattia che ne ha pregiudicato
la capacità lavorativa fino al 23 febbraio 2003 durante il termine quadro
per il periodo di contribuzione (14 marzo 2001-13 marzo 2003; art. 9 cpv. 3
LADI), egli fosse esonerato dall'obbligo di contribuzione di cui all'art. 13
LADI. In tale contesto si tratta di valutare se la limitazione del domicilio
svizzero prevista dall'art. 14 cpv. 1 lett. b LADI sia contraria al divieto
di discriminazione sancito dal diritto convenzionale, rispettivamente dal
diritto comunitario (art. 2 ALC; art. 3 n. 1 del regolamento n. 1408/71;
art. 9 cpv. 2 allegato I ALC in relazione con l'art. 7 n. 2 del regolamento
n. 1612/68), e se, in caso affermativo, non debba trovare applicazione
nell'evenienza concreta.

Erwägung 7

  7.  (inapplicabilità del regolamento n. 1408/71)

Erwägung 8

  8.

  8.1  Si tratta di esaminare se le prestazioni secondo l'art. 14 cpv. 1
LADI possano o meno costituire dei "vantaggi sociali" e se, in caso
affermativo, si sia in presenza di una situazione discriminatoria che
contrasti con il principio posto dall'art. 9 cpv. 2 allegato I ALC.

  8.2  Nella sua prassi, di cui anche il Tribunale federale deve tenere
conto nella misura in cui l'applicazione dell'ALC implica, come in concreto,
nozioni di diritto comunitario (art. 16 cpv. 2 ALC; più in generale sulla
rilevanza della giurisprudenza della CGCE ai fini interpretativi dell'ALC
cfr. DTF 132 V 423 consid. 9.2 pag. 437; BORELLA/GRISANTI, La rilevanza
della giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee per il
giudice svizzero nell'applicazione dell'Accordo sulla libera circolazione
delle persone, in: Corti/Mini/Noseda/Postizzi [a cura di], Diritto senza
devianza, Studi in onore di Marco Borghi, Basilea/Ginevra/Monaco 2006, pag.
205 segg.), la CGCE interpreta in maniera estensiva la nozione di "vantaggi
sociali" ai sensi dell'art. 7 n. 2 del regolamento n. 1612/68, alla cui
formulazione si è ispirato l'art. 9 cpv. 2 allegato I ALC (DTF 130 II 113
consid. 5.2 pag. 119).

  Essa definisce infatti tali quei vantaggi che, connessi o meno a un
contratto di lavoro, sono generalmente attribuiti ai lavoratori nazionali,
in relazione, principalmente, alla loro qualifica di lavoratori o al
semplice fatto della loro residenza nel territorio nazionale, e la cui
estensione ai lavoratori cittadini di altri Stati membri appare pertanto
atta a facilitare la loro mobilità all'interno della Comunità

(sentenza della CGCE del 27 novembre 1997 nella causa C-57/96, Meints, Racc.
1997, pag. I-6689 segg., punto 39 con riferimento).

  Sono stati ad esempio riconosciuti come "vantaggi sociali" il
finanziamento degli studi in favore dei figli di un lavoratore (sentenza
della CGCE del 20 marzo 2001 nella causa C-33/99, Fahmi e Esmoris
Cerdeiro-Pinedo Amado, Racc. 2001, pag. I-2415, punto 45), delle indennità
di educazione destinate a compensare gli oneri familiari (sentenza della
CGCE del 12 maggio 1998 nella causa C-85/96, Martínez Sala, Racc. 1998, pag.
I-2691, punti 26-28), delle indennità funerarie (sentenza della CGCE del 23
maggio 1996 nella causa C-237/94, O'Flynn, Racc. pag. I-2617), il diritto di
chiedere lo svolgimento di un procedimento in una lingua diversa dalla
lingua processuale usata di regola, qualora ai lavoratori nazionali sia
riconosciuto lo stesso diritto in situazioni analoghe (sentenza della CGCE
dell'11 luglio 1985 nella causa 137/84, Mutsch, Racc. 1985, pag. 2681),
delle riduzioni ferroviarie per famiglie numerose (sentenza della CGCE del
30 settembre 1975 nella causa 32/75, Cristini, Racc. 1975, pag. 1085), il
conferimento di una borsa di studio per seguire un corso di formazione
professionale in un altro Stato membro (sentenza della CGCE del 27 settembre
1988 nella causa 235/87, Matteucci, Racc. 1988, pag. 5589), delle indennità
di attesa previste in favore di giovani alla ricerca di impiego (sentenza
del 20 giugno 1985 nella causa 94/84, Deak, Racc. 1985, pag. 1873), un
sistema di imposizione contributivo o fiscale pari a quello previsto per i
lavoratori nazionali (sentenza della CGCE dell'8 maggio 1990 nella causa
C-175/88, Biehl, Racc. 1990, pag. I-1779), dei mutui concessi alle famiglie
a basso reddito allo scopo di incoraggiarne la natalità (sentenza della CGCE
del 14 gennaio 1982 nella causa 65/81, Reina, Racc. 1982, pag. 33), la
concessione di un reddito garantito alle persone anziane (sentenza della
CGCE del 12 luglio 1984 nella causa 261/83, Castelli, Racc. 1984, pag.
3199), una prestazione sociale volta a garantire un livello di sussistenza
minima (sentenza della CGCE del 27 marzo 1985 nella causa 249/83, Hoeckx,
Racc. 1985, pag. 3199), una prestazione di disoccupazione versata una tantum
a lavoratori agricoli a titolo di indennizzo per la risoluzione del loro
contratto a causa della messa a riposo dei terreni del datore di lavoro
(sentenza della CGCE nella causa Meints, precitata), ecc. (cfr. per una
panoramica: EBERHARD EICHENHOFER, Sozialrecht der Europäischen Union, 3a
ed., Berlino 2006, pag. 193 seg.; KAHIL-WOLFF/GREBER, Sécurité sociale:
aspects

de droit national, international et européen, Ginevra/Basilea/Monaco 2006,
pag. 294 seg.; Pocar/Viarengo, Diritto comunitario del lavoro, Padova 2001,
pag. 106 seg.; GIANNI ARRIGO, Il diritto del lavoro dell'Unione europea,
tomo I, Milano 1998, pag. 250 seg.). Questa qualifica è per contro stata
negata in relazione a un permesso di pesca (sentenza del Tribunale federale
2P.142/2003 del 7 novembre 2003, consid. 3.4, pubblicata in: ZBl 105/2004
pag. 322).

  8.3  La CGCE ha inoltre riconosciuto la qualifica di "lavoratore" ai sensi
dell'art. 7 n. 2 del regolamento n. 1612/68 anche dopo la cessazione del
rapporto di lavoro, da un lato se esiste una relazione tra la prestazione in
questione e la precedente posizione di lavoratore, e dall'altro in caso di
persone che cercano effettivamente un impiego. I lavoratori migranti in
cerca di lavoro beneficiano tuttavia del principio della parità di
trattamento soltanto se hanno già lavorato nello Stato in cui cercano
lavoro, e se in questo modo possono fare valere un nesso sufficientemente
stretto con il mercato del lavoro di tale Stato (SVR 2007 AlV n. 9 pag. 28
consid. 6.2.1 pag. 31, C 203/03 e le sentenze della CGCE ivi menzionate;
cfr. pure USINGER- EGGER, op. cit., pag. 50).

  8.4  Questo nesso è stato negato dalla CGCE a una persona in cerca di
impiego, che, dopo avere lavorato alcuni mesi nel Regno Unito, vi aveva
fatto ritorno 17 anni più tardi per cercare un'attività completamente
diversa da quella svolta in precedenza (sentenza della CGCE del 23 marzo
2004 nella causa C-138/02, Collins, Racc. 2004, pag. I-2703 segg., punti 28
segg.; USINGER-EGGER, op. cit., pag. 50 seg.).

  Lo stesso nesso è inoltre stato recentemente negato dal Tribunale
giudicante con riferimento a un cittadino svizzero, economista, che dopo
avere lavorato in qualità di lavoratore dipendente in Svizzera dal 1980 al
1986 e in qualità di indipendente dal 1986 al 1996, aveva esercitato (in
diversi Paesi europei, ma non in Svizzera) dal 1996 al 1999 l'attività di
consulente per una società con sede nei Caraibi, prima di scontare una pena
detentiva all'estero dal 1999 al 2002 e mettersi alla ricerca di un'attività
in qualità di consulente aziendale nel nostro Paese dal 1° ottobre 2002. In
tale occasione è stato osservato che la situazione dell'interessato era
paragonabile a quella di una persona che era per la prima volta alla ricerca
d'impiego in Svizzera; il che escludeva l'applicabilità dell'art. 9 cpv. 2
allegato I ALC. Infatti, conformemente alla giurisprudenza della CGCE,
mentre

i cittadini degli Stati membri che hanno già avuto accesso al mercato del
lavoro (in questione) possono pretendere, in base all'art. 7 n. 2 del
regolamento n. 1612/68, gli stessi vantaggi sociali e fiscali dei lavoratori
nazionali, quelli che si spostano per cercare un impiego beneficiano del
principio della parità di trattamento solo per l'accesso al lavoro (cfr. a
tal proposito le sentenze nella causa Collins, precitata, punto 31, e del 18
giugno 1987 nella causa 316/85, Lebon, Racc. 1985, pag. 2811, punto 26). La
questione di sapere se le prestazioni ai sensi dell'art. 14 cpv. 1 LADI
costituiscano dei "vantaggi sociali" a norma dell'art. 9 cpv. 2 allegato I
ALC ha pertanto potuto rimanere insoluta nella menzionata vertenza così come
ha potuto esserlo il quesito se il disposto, in caso di sufficiente nesso
con il mercato del lavoro elvetico, sia contrario al divieto di
discriminazione convenzionale e comunitario (SVR 2007 AlV n. 9 pag. 28
consid. 6.2.2 pag. 31, C 203/03).

  8.5  Contrariamente ai due casi poc'anzi esposti, la situazione di C. si
presenta in maniera differente. L'assicurato, di cittadinanza svizzera,
prima di disdire il proprio rapporto di lavoro e di trasferirsi all'estero
per sottoporsi alle adeguate cure mediche, ha lavorato (almeno) 26 anni in
Svizzera presso la ditta X. In tali condizioni, il necessario nesso con il
mercato del lavoro interno non può certamente essere messo in discussione.
L'interessato, che al termine del periodo di cura all'estero è tornato in
Svizzera alla ricerca effettiva di un nuovo impiego nell'ambito
professionale precedentemente esercitato (...), ha conservato la sua
precedente qualifica e può di conseguenza essere considerato un "lavoratore"
ai sensi dell'art. 7 n. 2 del regolamento n. 1612/68, rispettivamente
dell'art. 9 cpv. 2 allegato I ALC.

  8.6  Per stabilire se la prestazione di cui all'art. 14 cpv. 1 LADI possa
essere qualificata quale "vantaggio sociale" ai sensi dell'art. 7 n. 2 del
regolamento n. 1612/68 e, di conseguenza, anche ai sensi dell'art. 9 cpv. 2
allegato I ALC, occorre considerare che la CGCE, nella sua amplissima
interpretazione della nozione, ha ad esempio di recente avuto modo di
annoverare in questa categoria anche la concessione, secondo il diritto
belga, di indennità di disoccupazione giovanile ("allocations d'attente") in
favore dei giovani di meno di 30 anni in cerca di prima occupazione o che
avevano esercitato un'attività salariata per un periodo troppo breve per
avere diritto alle indennità di disoccupazione ordinarie (sentenza del 15
settembre 2005 nella causa C-258/04, Ioannidis, Racc. 2005, pag. I-8275).

  8.7  Inoltre, non può passare inosservato che la dottrina in materia tende
a qualificare come "vantaggi sociali" le prestazioni sociali che non
ricadono nel campo applicativo del regolamento n. 1408/71 (ad esempio:
BUCHER, Soziale Sicherheit, op. cit., pag. 434 cifra marg. 1088 seg.; EDGAR
IMHOF, Eine Anleitung zum Gebrauch des Personenfreizügigkeitsabkommens und
der VO 1408/71, in: Hans-Jakob Mosimann [ed.], Aktuelles im
Sozialversicherungsrecht, Zurigo 2001, pag. 34; WOLLENSCHLÄGER/GRIMM, Die
Auswirkungen der Rechtsprechung des EuGH auf das nationale Sozialrecht, in:
ZIAS 2004 pag. 335 segg., pag. 363; Haverkate/Weiss/Huster/Schmidt [ed.],
Casebook zum Arbeits- und Sozialrecht der EU, Baden-Baden 1999, pag. 34
cifra marg. 41; PIERRE RODIÈRE, Droit social de l'Union européenne, 2a ed.,
Parigi 2002, pag. 257, 602 seg.; cfr. tuttavia anche HEINZ-DIETRICH
STEINMEYER, in: Maximilian Fuchs [ed.], Europäisches Sozialrecht, 4a ed.,
Baden-Baden 2005, pag. 568 segg. e KAHIL-WOLFF/GREBER, op. cit., pag. 295, i
quali, rinviando alla pertinente giurisprudenza della CGCE, rilevano
comunque l'esistenza, irrilevante nel caso di specie, di alcune prestazioni
[quali ad esempio i diritti che sono concessi unicamente in funzione
dell'appartenenza nazionale, come i diritti politici, oppure i vantaggi
concessi agli ex prigionieri di guerra e fondati sullo status di benemerito
della nazione] che non rientrano né nel campo applicativo del regolamento n.
1408/71 né nella nozione di vantaggio sociale). Va da sé però che non
possono prevalersi dei vantaggi sociali e del principio di parità di
trattamento sancito dall'art. 7 n. 2 del regolamento n. 1612/68,
rispettivamente dall'art. 9 cpv. 2 allegato I ALC, le persone che si
trasferiscono in un altro Stato al solo scopo di ivi beneficiare di tali
vantaggi (STEINMEYER, in: Fuchs, [ed.] op. cit., pag. 571).

  8.8  Tutto ben ponderato, si deve ritenere che la norma in esame (art. 14
cpv. 1 LADI), nella misura in cui prescinde, a determinate condizioni, dalla
necessità di esercitare un'occupazione soggetta a obbligo contributivo per
un determinato periodo e agevola così l'accesso, ove siano soddisfatti gli
ulteriori presupposti legali, alle indennità di disoccupazione, istituisce
un "vantaggio sociale" ai sensi dell'art. 7 n. 2 del regolamento n. 1612/68
e, di conseguenza, pure ai sensi dell'art. 9 cpv. 2 allegato I ALC. Le
prestazioni ai sensi dell'art. 14 cpv. 1 LADI sono infatti concesse per
ragioni sociali in considerazione della residenza sul territorio nazionale,
vale a dire del domicilio in Svizzera. Quali prestazioni a favore di persone
alla

ricerca d'impiego esse sono inoltre senz'altro atte ad agevolare la libera
circolazione dei lavoratori migranti (USINGER-EGGER, op. cit., pag. 50).
Quanto al fatto che queste persone possano essere considerate lavoratori ai
sensi dell'art. 7 n. 2 del regolamento n. 1612/68, la questione è già stata
trattata e risolta affermativamente in presenza di una precedente attività
lavorativa nello Stato di ricerca d'impiego e, quindi, di un sufficiente
nesso con il mercato del lavoro interessato (consid. 8.3-8.5).

Erwägung 9

  9.  Come accennato (consid. 6), il mancato adempimento del periodo di
contribuzione di cui all'art. 13 cpv. 1 LADI, che è incontestato, non osta
al diritto dell'assicurato se egli può comunque esservi esonerato in virtù
dell'art. 14 cpv. 1 lett. b LADI. Ciò presuppone tuttavia che la condizione
ivi posta del domicilio in Svizzera durante il periodo di malattia per oltre
12 mesi complessivamente entro il termine quadro non possa applicarsi poiché
contraria al divieto di discriminazione dell'art. 7 n. 2 del regolamento n.
1612/68, rispettivamente dell'art. 9 cpv. 2 allegato I ALC. In tale contesto
va pure tenuto conto dell'art. 2 ALC, stante il quale in conformità delle
disposizioni degli allegati I, II e III dell'Accordo, i cittadini di una
parte contraente che soggiornano legalmente sul territorio di un'altra parte
contraente non sono oggetto, nell'applicazione di dette disposizioni, di
alcuna discriminazione fondata sulla nazionalità.

  9.1  Il seco ha ricordato che la limitazione del domicilio svizzero di cui
all'art. 14 cpv. 1 lett. b LADI è stata consapevolmente introdotta dal
legislatore per attenuare le ripercussioni dell'ALC e delle determinanti
norme di coordinamento sull'assicurazione contro la disoccupazione elvetica
(v. il Messaggio del Consiglio federale concernente l'approvazione degli
accordi bilaterali tra la Svizzera e la CE [FF 1999 pag. 5092 segg., 5318]).
Tale circostanza, da sola, non determina di per sé una discriminazione
illecita. La possibilità di adottare provvedimenti volti a salvaguardare
l'equilibrio finanziario delle assicurazioni sociali è infatti di per sé
riconosciuta (sentenze della Corte AELS del 14 giugno 2001, E-4-6/00, punto
32). Nondimeno occorre verificarne la forma e gli effetti eventualmente
discriminatori (DTF 130 I 26 consid. 3.1 pag. 33 seg.).

  9.2  Secondo la costante giurisprudenza della CGCE (art. 16 cpv. 2 ALC),
il divieto di discriminazione, rispettivamente il principio della parità di
trattamento, vietano non soltanto le discriminazioni palesi basate sulla
cittadinanza (discriminazioni dirette) ma anche

qualsiasi forma dissimulata di discriminazione, che, in applicazione di
altri criteri di distinzione, conduca di fatto allo stesso risultato
(discriminazioni indirette; DTF 131 V 209 consid. 6.2 pag. 215, 390 consid.
5.1 pag. 397 con riferimenti; sulla nozione v. anche BUCHER, Soziale
Sicherheit, cifra marg. 58, con numerosi riferimenti alla giurisprudenza
della CGCE; in merito alla più recente giurisprudenza della CGCE v. ad
esempio la sentenza Ioannidis, precitata, punto 26).

  9.3  Devono pertanto essere giudicate indirettamente discriminatorie le
condizioni poste dall'ordinamento nazionale le quali, benché indistintamente
applicabili secondo la cittadinanza, riguardino essenzialmente o in gran
parte i lavoratori migranti nonché le condizioni indistintamente applicabili
che possono essere soddisfatte più agevolmente dai lavoratori nazionali che
dai lavoratori migranti o che rischiano di essere sfavorevoli, in modo
particolare, ai lavoratori migranti (sentenza della CGCE nella causa
O'Flynn, precitata, punto 18; in questo senso anche la giurisprudenza
successiva della CGCE: v. ad esempio la sentenza del 21 settembre 2000 nella
causa C-124/99, Borawitz, Racc. 2000, pag. I-7293, punto 25).

  Una soluzione diversa è ammissibile solo se le dette disposizioni siano
giustificate da considerazioni oggettive, indipendenti dalla cittadinanza
dei lavoratori interessati, e se siano adeguatamente commisurate allo scopo
legittimamente perseguito dall'ordinamento nazionale (sentenze citate
O'Flynn, punto 19, e Borawitz, punto 26).

  A meno che non sia obiettivamente giustificata e adeguatamente commisurata
allo scopo perseguito, una disposizione di diritto nazionale dev'essere di
conseguenza giudicata indirettamente discriminatoria quando, per sua stessa
natura, tenda ad incidere più sui cittadini di altri Stati membri che su
quelli nazionali e, di conseguenza, rischi di essere sfavorevole in modo
particolare ai primi (v., in tal senso, le sentenze, precitate Borawitz,
punto 27, e Meints, punto 45).

  Per accertare se l'utilizzazione di un determinato criterio di distinzione
nel senso suesposto conduca indirettamente a una disparità di trattamento
fondata sulla nazionalità, occorre raffrontare la quota di cittadini e non
cittadini all'interno della categoria delle persone sfavorite,
rispettivamente non favorite, da un lato, e la quota di cittadini e non
cittadini all'interno della categoria delle persone non sfavorite,
rispettivamente favorite, dall'altro (cfr. la sentenza

Borawitz, precitata, punti 28-31; v. inoltre DTF 131 V 209 consid. 6.3 pag.
215 seg., 390 consid. 5.1 pag. 397 con riferimenti).

  Non solo i lavoratori migranti stranieri possono richiamarsi al divieto di
discriminazione sancito dal diritto convenzionale, rispettivamente
comunitario, nei confronti dello Stato che li accoglie, bensì anche i
lavoratori nazionali nei confronti del loro Paese nella misura in cui è dato
il necessario nesso euro-internazionale. E ciò vale anche se la regola in
esame, pur non penalizzando maggiormente gli stranieri comunitari rispetto a
quelli nazionali, incide comunque maggiormente sui lavoratori migranti,
indipendentemente dalla loro nazionalità, che non sui lavoratori non
migranti (IMHOF, FZA/EFTA-Übereinkommen und soziale Sicherheit, Ein
Überblick unter Berücksichtigung der bis Juni 2006 ergangenen
höchstrichterlichen Rechtsprechung zum materiellen Koordinationsrecht, in:
Jusletter del 23 ottobre 2006, cifra marg. 24 con i riferimenti alle
sentenze della CGCE del 26 gennaio 1999 nella causa C-18/95, Terhoeve, Racc.
1999, pag. I-345, punti 25 segg., 39 segg., e del 7 marzo 1991 nella causa
C-10/90, Masgio, Racc. 1991, pag. I-1119, punto 25).

  9.4  La condizione posta dall'art. 14 cpv. 1 lett. b LADI, in virtù della
quale, per beneficiare dell'esenzione dall'adempimento del periodo di
contribuzione a dipendenza di malattia, la persona interessata dev'essere
stata domiciliata durante questo periodo in Svizzera, può essere più
agevolmente soddisfatta da cittadini svizzeri (o comunque da lavoratori non
migranti) che da cittadini stranieri (o comunque da lavoratori migranti).
Contrariamente alla situazione di un cittadino svizzero (o comunque di un
lavoratore non migrante) nella medesima posizione, appare infatti più
probabile che un cittadino straniero (o comunque un lavoratore migrante),
che dopo un periodo di malattia (durato oltre 12 mesi complessivamente entro
il termine quadro) si mette alla ricerca di un'occupazione sul mercato del
lavoro elvetico, abitasse e fosse domiciliato al di fuori della Svizzera
durante tale periodo. In tali circostanze, non può certamente essere seguita
la tesi del seco nella misura in cui ritiene non discriminatoria la
disposizione del diritto nazionale per il semplice fatto che la condizione
di domicilio si applicherebbe senza distinzione sia ai cittadini svizzeri
che agli stranieri.

  L'art. 14 cpv. 1 lett. b LADI mira a colpire principalmente i cittadini
dell'UE e non i cittadini svizzeri. La presente fattispecie non è pertanto
paragonabile a quella giudicata in DTF 130 I 26 segg. (in particolare

pag. 36 consid. 3.3.1 in fine) in cui si trattava di esaminare la legalità
della limitazione del numero dei fornitori di prestazioni ammessi ad
esercitare la propria attività a carico dell'assicurazione obbligatoria
contro le malattie, emanata dal Consiglio federale in base all'art. 55a
LAMal e attuata dal Consiglio di Stato zurighese. Nel porre la limitazione
del domicilio svizzero durante il periodo di malattia, l'art. 14 cpv. 1
lett. b LADI ha così istituito una, di per sé inammissibile, discriminazione
indiretta. Resta da esaminare se tale limitazione non sia obiettivamente
giustificata e adeguatamente commisurata allo scopo legittimamente
perseguito dall'ordinamento nazionale (v. DTF 131 V 209 consid. 6.3 pag.
216, 390 consid. 5.1 pag. 397 con riferimenti).

  9.5  Con l'introduzione della clausola di domicilio all'art. 14 cpv. 1
lett. b LADI si è voluto evitare che cittadini dell'UE, che in precedenza
non avevano mai soggiornato in Svizzera e che per un periodo prolungato sono
stati incapaci al lavoro per uno dei motivi menzionati dal disposto
(malattia, infortunio o maternità), potessero, in seguito a un breve periodo
di lavoro in Svizzera, far valere questo motivo d'esenzione e percepire
prestazioni dell'assicurazione contro la disoccupazione svizzera (FF 1999
pag. 5318). Il seco sottolinea come questa condizione sia stata introdotta
allo scopo di evitare il verificarsi di abusi.

  9.6  Ora, di per sé, come ha già avuto peraltro modo di affermare in
costante giurisprudenza anche la CGCE, è legittimo che il legislatore
nazionale voglia accertarsi dell'esistenza di un nesso reale tra chi
richiede indennità di disoccupazione e il mercato geografico del lavoro
interessato (sentenze precitate Ioannidis, punto 30, e Collins, punti 67-69;
cfr. inoltre la sentenza dell'11 luglio 2002 nella causa C-224/98, D'Hoop,
Racc. 2002, pag. I-6191, punto 38). Del resto, se per le persone in cerca
d'impiego il diritto ai vantaggi sociali conferiti dall'art. 14 cpv. 1 LADI
è subordinato all'esistenza di un sufficiente nesso con il mercato del
lavoro elvetico, la condizione di domicilio svizzero costituisce un mezzo di
per sé idoneo all'accertamento di questo legame. Resta da determinare se la
condizione sia altrimenti proporzionata e in particolare necessaria per
rapporto al fine perseguito (USINGER-EGGER, op. cit., pag. 52).

  9.7  Può tornare utile a tal proposito esaminare la pertinente
giurisprudenza della CGCE in materia (art. 16 cpv. 2 ALC).

  9.7.1  Dovendosi ad esempio pronunciare in merito all'assegno di natalità
secondo il diritto lussemburghese (ugualmente interpretato

quale vantaggio sociale ai sensi dell'art. 7 n. 2 del regolamento n.
1612/68), che condizionava il versamento di una prima quota al fatto che la
beneficiaria avesse avuto la sua residenza legale nel Granducato del
Lussemburgo durante l'intero anno precedente la nascita del bambino e che
fossero state effettuate tutte le visite mediche prescritte dalla legge, la
CGCE ha rilevato che il requisito della previa residenza nel Granducato non
era necessario, nel caso di specie, al conseguimento del fine perseguito,
consistente nella tutela della sanità pubblica. Pur riconoscendo che
l'obbligo di sottoporsi a determinate visite mediche nel Granducato era
adeguato alle esigenze di questa tutela, i giudici della Corte hanno
ritenuto eccessivo non tener conto delle visite mediche eventualmente
effettuate in un altro Stato membro (sentenza del 10 marzo 1993 nella causa
C-111/91, Commissione/Granducato del Lussemburgo, Racc. 1993, pag. I-817,
punti, 3, 10 e 12).

  9.7.2  In una più recente vertenza è stata esaminata la compatibilità, con
il principio della parità di trattamento, di una normativa britannica che
subordinava il beneficio di un'indennità per persone in cerca d'impiego a
una clausola di residenza nel Regno Unito. Facendo notare che tale
condizione poteva essere soddisfatta più facilmente dai cittadini nazionali,
la Corte ha rilevato che detta normativa svantaggiava i cittadini degli
Stati membri che si avvalevano del loro diritto di circolare per cercare un
lavoro sul territorio di un altro Stato membro (sentenza del 23 marzo 2004
nella causa Collins, precitata, punto 65; in tal senso pure la sentenza del
23 maggio 1996 nella causa O'Flynn, precitata, punto 18). Essa ha di per sé
considerato legittimo il fatto che uno Stato membro conceda una siffatta
indennità solo dopo che ha avuto la possibilità di accertarsi dell'esistenza
di un nesso reale fra chi cerca lavoro e il mercato del lavoro di tale
Stato. Ha inoltre aggiunto che l'esistenza di un nesso del genere potrebbe
essere verificata, in particolare, accertando che la persona di cui trattasi
ha realmente cercato un'occupazione nello Stato membro in questione per un
periodo di una durata ragionevole (sentenza Collins, citata, punto 70).
Tuttavia - ha concluso -, sebbene una condizione relativa alla residenza
sia, in linea di principio, idonea a garantire un tale collegamento, per
essere proporzionata essa non può andar oltre quanto necessario a conseguire
tale obiettivo. In particolare, per essere applicata, essa non deve andare
oltre quanto necessario affinché le autorità nazionali possano assicurarsi
che l'interessato cerchi realmente un impiego sul mercato

del lavoro dello Stato membro ospitante (sentenza Collins, citata, punto
72).

  Istruttive, per la miglior comprensione di queste affermazioni (che non
sono state espresse solo alla luce della nozione di cittadinanza europea,
irrilevante per la Svizzera; USINGER-EGGER, op. cit., pag. 51 nota 122;
BORELLA/GRISANTI, op. cit., pag. 222), sono le dichiarazioni pronunciate,
sempre nell'ambito della vertenza di cui si tratta, dall'Avvocato generale
Ruíz-Jarabo Colomer. Nelle sue conclusioni del 10 luglio 2003, recepite
dalla Corte, l'Avvocato generale ha tra l'altro rilevato che l'imposizione
di una condizione relativa alla residenza, volta a comprovare un radicamento
nel paese ospitante e l'esistenza di legami tra il richiedente e il mercato
del lavoro di questo paese, può essere giustificata in base all'esigenza di
evitare il fenomeno del cosiddetto "turismo sociale", praticato da quelle
persone che si spostano da uno Stato all'altro allo scopo di usufruire di
prestazioni non contributive, e pertanto al fine di prevenire gli abusi.
Egli ha quindi concluso che, nei limiti in cui l'applicazione di tale
condizione si accompagni all'esame della situazione particolare del
richiedente in ciascun caso specifico, una tale misura non dovrebbe eccedere
quanto necessario al fine di conseguire l'obiettivo perseguito (conclusioni,
punto 75).

  9.7.3  Merita infine particolare menzione anche la sentenza Ioannidis,
precitata, nella quale, come già accennato, si trattava di esaminare la
conformità con il diritto comunitario di una normativa belga concernente la
concessione di indennità di disoccupazione giovanile in favore dei giovani
di meno di 30 anni in cerca di prima occupazione o che avevano esercitato
un'attività salariata per un periodo troppo breve per avere diritto alle
indennità di disoccupazione ordinarie. Il signor Ioannidis, cittadino greco,
si era visto negare la detta indennità speciale (qualificata anch'essa,
dalla CGCE, quale vantaggio sociale ai sensi dell'art. 7 n. 2 del
regolamento n. 1612/68) con la motivazione che egli non aveva terminato gli
studi secondari in un istituto scolastico organizzato, sovvenzionato o
riconosciuto da una delle tre comunità del Belgio, non era in possesso di un
diploma o certificato di studi relativamente a tale formazione, pur essendo
in possesso di un titolo greco omologato, e non risultava essere figlio a
carico di lavoratori migranti residenti in Belgio. Dopo avere rilevato che
la normativa nazionale in questione introduceva una disparità di trattamento
tra i cittadini che avevano terminato i loro studi di ciclo secondario in
Belgio e quelli che li

avevano completati in un altro Stato membro, e avere osservato che questa
condizione rischiava di sfavorire soprattutto i cittadini di altri Stati
membri, poiché poteva essere più facilmente soddisfatta dai cittadini
nazionali, la Corte di giustizia, pur ribadendo la legittimità, per il
legislatore nazionale, di accertarsi dell'esistenza di un nesso reale tra
chi richiede la detta indennità e il mercato geografico del lavoro
interessato, ha ritenuto eccessiva tale condizione per il raggiungimento
dell'obiettivo perseguito (sentenza Ioannidis, punti 27-31). In particolare,
i giudici lussemburghesi hanno considerato sproporzionata la normativa
nazionale belga nella misura in cui, pur riconoscendo di principio il
diritto all'indennità di disoccupazione giovanile anche a chi, in cerca di
occupazione, non aveva terminato i suoi studi secondari in Belgio,
subordinava comunque questo beneficio alla condizione che il richiedente
avesse seguito studi o una formazione equivalente in un altro Stato membro e
fosse a carico di lavoratori migranti residenti in Belgio (sentenza
Ioannidis, punto 32). La Corte di giustizia ha ritenuto che questa
condizione (anche di residenza) non poteva essere giustificata con l'intento
di assicurarsi dell'esistenza di un nesso reale tra chi chiede l'indennità e
il mercato geografico del lavoro interessato. Pur riconoscendo che essa
condizione si fondava su un elemento che poteva essere considerato
rappresentativo di un grado reale ed effettivo di collegamento, la massima
istanza giudiziaria europea ha rilevato che non si poteva escludere che una
persona, quale il signor Ioannidis, che, dopo un ciclo di studi secondari
terminato in uno Stato membro, aveva continuato studi superiori in un altro
Stato membro e ivi aveva ottenuto un diploma, fosse altrimenti in grado di
giustificare un nesso reale con il mercato del lavoro di tale Stato, anche
se non era a carico di lavoratori migranti residenti nel detto Stato. Una
tale condizione è quindi stata ritenuta andare anche al di là di quanto
necessario per raggiungere l'obiettivo perseguito (sentenza Ioannidis, punto
33).

  9.8  Stante quanto precede si deve ritenere che la limitazione introdotta
dall'art. 14 cpv. 1 lett. b LADI non appare, alla luce del caso di specie,
obiettivamente giustificata e adeguatamente commisurata allo scopo
perseguito dall'ordinamento nazionale. Pur potendo riconoscere che la
clausola di domicilio rappresenti uno strumento idoneo ad accertarsi
dell'esistenza di un nesso reale con il mercato del lavoro elvetico,
l'applicazione di tale condizione deve, per quanto visto in precedenza
(consid. 9.7.2), ancora accompagnarsi

all'esame della situazione particolare del richiedente in ciascun caso
specifico (in questo senso pure USINGER-EGGER, op. cit., pag. 53). Ora, è
indubbio che, nella misura in cui non tiene conto delle situazioni in cui
può venirsi a trovare una persona quale C., il quale pur non essendo stato
residente o domiciliato nel nostro Paese durante il periodo di malattia, è
comunque in grado di giustificare un nesso reale con detto mercato del
lavoro, questa condizione di domicilio, così come concepita, va anche al di
là di quanto necessario per raggiungere l'obiettivo perseguito (cfr. a tal
proposito pure USINGER-EGGER, op. cit., pag. 52 seg., la quale autrice
estende questa conclusione anche alla situazione, che non deve essere
esaminata in concreto, dei lavoratori frontalieri che, prima del periodo di
malattia, lavoravano in Svizzera). Il rischio di abusi, che ha indotto il
legislatore federale a introdurre la clausola di domicilio, appare infatti
scongiurato in situazioni del genere. Il che non significa per contro che,
al di fuori di queste situazioni, una clausola di residenza non possa invece
eventualmente giustificarsi - riservato l'esame, superfluo nella fattispecie
concreta, della necessità della durata di 12 mesi - nell'ipotesi in cui un
simile nesso con il mercato svizzero non possa essere stabilito e di
conseguenza il rischio di abuso scongiurato.

  9.9  Alla presente soluzione non potrebbero del resto opporsi nemmeno
eventuali censure inerenti alla controllabilità della malattia all'estero,
simili difficoltà incontrandosi ed essendo validamente sormontate
segnatamente in ambito di assicurazione per l'invalidità in relazione alla
determinazione dell'incapacità lavorativa e di guadagno di assicurati
residenti all'estero.

  9.10  Ne discende che la condizione di domicilio in Svizzera rappresenta,
quantomeno nella casistica in esame, una misura sproporzionata e dev'essere
ritenuta contraria al divieto di discriminazione del diritto convenzionale,
rispettivamente del diritto comunitario (in questo senso anche
USINGER-EGGER, op. cit., pag. 53; sostengono inoltre il carattere
discriminatorio di questa e simili disposizioni della LADI: JAN MICHAEL
BERGMANN, Überblick über die Regelungen des APF betreffend die Soziale
Sicherheit, in: Schaffhauser/Schürer [ed.], Rechtsschutz der Versicherten
und der Versicherer gemäss Abkommen EU/CH über die Personenfreizügigkeit
[APF] im Bereich der Sozialen Sicherheit, San Gallo 2002, pag. 9 segg., pag.
18 nota 29; AMBROISE BULAMBO, Libération de l'obligation relative à la
période de cotisation de l'article 14 al. 1 LACI, in: Aspects de la sécurité

sociale 2005/3, pag. 36 seg., pag. 37; THOMAS NUSSBAUMER,
Arbeitslosenversicherung, in: Ulrich Meyer [ed.], Schweizerisches
Bundesverwaltungsrecht, Bd. XIV, Soziale Sicherheit, 2a ed., Basilea 2007,
pag. 2257, cifre marg. 257 seg.; BETTINA KAHIL-WOLFF, L'accord sur la libre
circulation des personnes Suisse-CE et le droit des assurances sociales, in:
SJ 2001 II pag. 81 segg., pag. 134; medesima autrice, Quelques remarques sur
les voies de droit en matière de sécurité sociale dans le cadre de l'Accord
sur la libre circulation des personnes [ALCP], in: JdT 2002 III pag. 60
segg., pag. 61; sostanzialmente della medesima opinione: UELI KIESER, Das
Personenfreizügigkeitsabkommen und die Arbeitslosenversicherung, in: PJA
2003/3 pag. 289, nonché STEPHAN BREITENMOSER, Der Rechtsschutz im
Personenfreizügigkeitsabkommen zwischen der Schweiz und der EG sowie den
EU-Mitgliedsstaaten, in: PJA 2002 pag. 1003 segg., pag. 1009, nota 80;
diversamente per contro BORIS RUBIN, Assurance-chômage, droit fédéral,
survol des mesures cantonales, procédure, 2a ed., Zurigo 2006, pag. 990, per
il quale la clausola di residenza di cui all'art. 14 cpv. 1 e 2 LADI
risulterebbe accettabile).

Erwägung 10

  10.  Per il resto, come già anticipato (consid. 9.3), nulla osta a che
l'assicurato possa prevalersi, nei confronti della Svizzera, del divieto di
discriminazione di cui all'art. 9 cpv. 2 allegato I ALC. In presenza del
necessario nesso transfrontaliero, già evidenziato (consid. 5.1), non vi è
motivo per negare a un cittadino svizzero l'invocazione di tale disposto,
ove si consideri che egli può peraltro richiamare l'applicazione delle altre
disposizioni dell'Accordo e dei regolamenti, cui rinvia l'ALC, che in parte
altro non fanno che concretare il divieto di discriminazione. Ne discende
che l'assicurato resistente può prevalersi del divieto di discriminazione di
cui all'art. 9 cpv. 2 allegato I ALC (più in generale, sulla possibilità del
cittadino nazionale di invocare il divieto di discriminazione nei confronti
del proprio Paese cfr. inoltre Imhof, in: Jusletter del 23 ottobre 2006,
cifra marg. 24 con i riferimenti alle sentenze della CGCE Terhoeve e Masgio,
precitate).

Erwägung 11

  11.  Come accennato (consid. 3.2 e 9.1), l'art. 14 cpv. 1 lett. b LADI è
stato promulgato nella consapevolezza di limitare la portata della
disciplina convenzionale. In tali circostanze si pone la questione di sapere
se la norma di diritto interno sia - con riferimento alle sole situazioni
qui in esame - da applicare nonostante risulti contraria al divieto di
discriminazione convenzionale.

  11.1
  11.1.1  In DTF 125 II 417 consid. 4d pag. 424, il Tribunale federale, con
riferimento agli art. 113 cpv. 3 e 114bis cpv. 3 vCost., ha affermato che,
in caso di conflitto, il diritto internazionale pubblico prevale, in linea
di massima, su quello interno (cfr. pure DTF 122 II 234 consid. 4e pag. 239,
471 consid. 3a pag. 484), specialmente laddove la norma internazionale ha
per scopo la tutela dei diritti dell'uomo. Di conseguenza, ha aggiunto, una
norma di diritto interno contraria al diritto internazionale non può trovare
applicazione nel singolo caso di specie. In merito ad altri eventuali casi
di conflitto, il Tribunale federale ha rinviato alla sentenza pubblicata in
DTF 99 Ib 39 segg. (giurisprudenza "Schubert"), nella quale aveva fatto
prevalere il diritto interno sul diritto internazionale nella misura in cui
il primo era stato consapevolmente emanato in contrasto con il secondo. In
DTF 112 II 1 consid. 8 pag. 13, detto Tribunale ha deciso di applicare
comunque, in virtù dell'art. 113 cpv. 3 vCost., una norma nazionale poiché
il legislatore federale, consapevole della possibile violazione del diritto
internazionale, aveva comunque messo in conto tale eventualità.

  Nella sua costante giurisprudenza questa Corte ha per il resto stabilito
che il diritto interno deve di norma cedere il passo al diritto
convenzionale segnatamente in materia di accordi bilaterali di sicurezza
sociale (DTF 119 V 171 consid. 4a pag. 176 con riferimenti).

  11.1.2  Giusta l'art. 190 Cost., le leggi federali e il diritto
internazionale sono determinanti per il Tribunale federale e per le altre
autorità incaricate dell'applicazione del diritto. Questa disposizione
costituzionale non crea un ordine gerarchico tra le norme di diritto interno
e quelle di diritto internazionale. Anche l'art. 5 cpv. 4 Cost., secondo cui
la Confederazione e i Cantoni rispettano il diritto internazionale, non
consente, in ragione della sua genesi, di concludere per una priorità
incondizionata del diritto internazionale sul diritto nazionale (DANIEL
THÜRER, Verfassungsrecht und Völkerrecht [in seguito: THÜRER,
Verfassungsrecht], in: Thürer/Aubert/Müller, Verfassungsrecht der Schweiz,
Zurigo 2001, pag. 190 cifra marg. 30; SILVIA BUCHER, Die Rechtsmittel der
Versicherten gemäss APF im Bereich der Sozialen Sicherheit, in:
Schaffhauser/Schürer [ed.], Rechtsschutz op. cit., pag. 152 seg. cifra marg.
83 con riferimenti [in seguito: BUCHER, Rechtsmittel]).

  In DTF 130 I 33 segg. consid. 3, il Tribunale federale non si è espresso
sull'eventualità di un suo vincolo alle disposizioni dell'art. 55a

LAMal (in vigore dal 1° gennaio 2001) come pure alle norme di attuazione nel
regolamento di ammissione del Consiglio federale (in vigore dal 4 luglio
2002) in caso di violazione del divieto di discriminazione convenzionale
poiché ha in ogni caso escluso una simile ipotesi.

  Tuttavia, ancora recentemente, in DTF 131 II 352 consid. 1.3.1 pag. 355,
lo stesso Tribunale, preso atto che le nuove disposizioni costituzionali non
regolamentano in maniera espressa il caso in cui, come in concreto, vi sia
una contraddizione inconciliabile tra i due ordini di norme, tenuto conto
dei principi generali in materia di diritto internazionale pubblico (cfr.
segnatamente gli art. 26 e 27 della Convenzione di Vienna sul diritto dei
trattati, del 23 maggio 1969 [RS 0.111]), ha confermato la giurisprudenza
sviluppata in DTF 125 II 417 (cfr. pure DTF 128 IV 117 consid. 3b pag. 122,
201 consid. 1.3 pag. 205, nonché la sentenza del Tribunale federale 2A.626/
2004 del 6 maggio 2005, consid. 1.4 seg.).

  11.2  L'intero ALC è improntato alla realizzazione della libera
circolazione. Orbene, questa libertà viene espressamente qualificata dal
regolamento n. 1612/68, terzo considerando introduttivo, quale diritto
fondamentale (cfr. inoltre la sentenza della CGCE del 15 dicembre 1995 nella
causa C-415/93, Bosman, Racc. 1995, pag. I-4921, punto 129;
BREITENMOSER/ISLER, Der Rechtsschutz gemäss dem
Personenfreizügigkeitsabkommen vom 21. Juni 1999 im Bereich der Sozialen
Sicherheit, in: Schaffhauser/Schürer [ed.], Die Durchführung des Abkommens
EU/CH über die Personenfreizügigkeit [Teil Soziale Sicherheit] in der
Schweiz [in seguito: Schaffhauser/Schürer [ed.], Durchführung], pag. 205;
BUCHER, Rechtsmittel, op. cit., pag. 153 cifra marg. 84 con riferimenti).
Ciò porta ad assimilare l'art. 9 cpv. 2 allegato I ALC alle norme di diritto
internazionale che hanno per scopo la tutela dei diritti dell'uomo, e induce
di conseguenza ad esprimersi in favore di una sua prevalenza sulle
disposizioni di legge federali.

  11.3  Anche la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo
rafforza d'altronde la tesi per cui, nell'assegnazione di prestazioni
sociali, il divieto di discriminazione in ragione della nazionalità
comprende una componente attinente ai diritti umani. Da essa si evince
infatti la possibilità di invocare il divieto di discriminazione dell'art.
14 CEDU, che vieta tra l'altro le discriminazioni legate all'origine
nazionale, in relazione alle prestazioni sociali previste

dal diritto interno che presentano un nesso sufficiente con l'ambito
tutelato dal diritto al rispetto della vita privata e familiare giusta
l'art. 8 CEDU o dalla garanzia della proprietà secondo l'art. 1 del
Protocollo n. 1 alla CEDU (cfr. sentenze della Corte europea dei diritti
dell'uomo del 16 settembre 1996 nella causa Gaygusuz contro Austria, Recueil
1996-IV pag. 1129 segg., del 21 febbraio 1997 nella causa Van Raalte contro
Paesi Bassi, Recueil 1997-I pag. 173 segg., e del 27 marzo 1998 nella causa
Petrovic contro Austria, Recueil 1998-II pag. 579 segg.; BUCHER,
Rechtsmittel, op. cit., pag. 153 seg. cifra marg. 85 con riferimenti).

  Conformemente a quanto stabilito in DTF 125 II 417 segg., queste
considerazioni legate alla tutela dei diritti dell'uomo inducono a
concludere per una prevalenza del diritto convenzionale sul diritto interno.

  11.4  Ma anche a prescindere da tali (primarie) motivazioni, non vi è
ragione per non accordare alle disposizioni direttamente applicabili
dell'ALC e degli atti, cui è fatto riferimento, la precedenza rispetto
all'art. 14 cpv. 1 lett. b LADI. Infatti l'ALC e i suoi allegati - ai quali
(dal momento che fanno parte integrante del diritto comunitario) anche gli
altri Stati contraenti devono riconoscere la prevalenza per rapporto alle
loro disposizioni legali contrarie interne -, godono di una legittimazione
democratica (accettazione in occasione della consultazione popolare del 21
maggio 2000 [FF 2000 pag. 3345]) e non contrastano con principi fondamentali
dell'ordinamento giuridico elvetico (v. THÜRER, Verfassungsrecht, op. cit.,
pag. 190 seg., cifra marg. 31).

  11.5  Infine, è lo stesso diritto convenzionale a reclamare la sua
precedenza sul diritto interno. Da un lato, infatti, l'art. 16 cpv. 1 ALC
dispone che, per conseguire gli obiettivi definiti dall'Accordo, le parti
contraenti prendono tutte le misure necessarie affinché nelle loro relazioni
siano applicati diritti e obblighi equivalenti a quelli contenuti negli atti
giuridici della Comunità europea ai quali viene fatto riferimento. Ora, tra
queste misure rientra l'obbligo per i tribunali di fare rispettare il
diritto convenzionale, se necessario anche derogando al diritto nazionale di
ogni grado e di ogni data. D'altro lato, la protezione giuridica garantita
dall'art. 11 ALC, che conferisce alle persone rientranti nel campo di
applicazione personale dell'Accordo il diritto di presentare ricorso alle
autorità competenti nazionali per quanto riguarda l'applicazione delle
disposizioni del

trattato, rimarrebbe lettera morta se queste istanze, anziché applicare il
diritto convenzionale, dovessero applicare il divergente diritto nazionale
(cfr. BUCHER, Rechtsmittel, op. cit., pag. 155 seg. cifra marg. 88;
KAHIL-WOLFF/MOSTERS, Struktur und Anwendung des Freizügigkeitsabkommens
Schweiz/EG, in: Schaffhauser/Schürer [ed.], Durchführung, op. cit., pag. 20
seg.; cfr. pure DTF 131 II 352 consid. 1.4 pag. 356; in questo senso si
orienta d'altronde pure la circolare del seco del dicembre 2004 relativa
alle ripercussioni, in materia di assicurazione contro la disoccupazione,
dell'ALC, nella quale si dichiara che "trattandosi di norme di diritto
internazionale, esse prevalgono sul diritto nazionale nel caso in cui
quest'ultimo sia in contraddizione con le disposizioni del diritto
comunitario" [pag. 15, cifra marg. B 3]).

  11.6  Stante quanto precede, si deve ritenere che il divieto di
discriminazione convenzionale, rispettivamente comunitario, direttamente
applicabile, prevale nelle situazioni in esame sull'art. 14 cpv. 1 lett. b
LADI, e questo nonostante il legislatore abbia inteso attenuare con
quest'ultima disposizione le ripercussioni dell'ALC sull'assicurazione
contro la disoccupazione elvetica.

Erwägung 12

  12.  Qualora il diritto nazionale preveda un trattamento differenziato tra
vari gruppi di persone in violazione del diritto convenzionale,
rispettivamente comunitario, i membri del gruppo sfavorito devono essere
trattati allo stesso modo ed essere assoggettati allo stesso regime degli
altri interessati, regime che, fintanto il diritto nazionale non sia
organizzato in maniera non discriminatoria, resta il solo sistema di
riferimento valido (DTF 131 V 209 consid. 7 pag. 216, 390 consid. 5.2 pag.
397 seg. con riferimenti).

  Ne discende che l'assicurato resistente, in ragione del soggiorno
(domicilio) per fini curativi all'estero dal 1° giugno 2001 al 1° marzo
2003, durante il termine quadro per il periodo di contribuzione (14 marzo
2001 - 13 marzo 2003; art. 9 cpv. 3 LADI) dev'essere esonerato - quantomeno
fino al 31 dicembre 2002 (data sino alla quale l'interessato è stato
dichiarato pienamente inabile al lavoro), ma ad ogni modo per oltre 12 mesi
complessivamente - dall'adempimento del periodo di contribuzione di cui
all'art. 13 cpv. 1 LADI.

  In tali condizioni, la pronuncia cantonale, che ha rinviato la causa
all'amministrazione per verificare l'adempimento degli ulteriori presupposti
del diritto alle indennità di disoccupazione, dev'essere confermata, seppur
non nella sua motivazione comunque nel suo risultato.