Sammlung der Entscheidungen des Schweizerischen Bundesgerichts
Collection des arrêts du Tribunal fédéral suisse
Raccolta delle decisioni del Tribunale federale svizzero

BGE 128 I 19



128 I 19

2. Estratto della sentenza della II Corte di diritto pubblico nella causa
ASSOCIAZIONE L.U.de.S. Libera Università degli Studi di Scienze Umane
e Tecnologiche contro Consiglio di Stato del Cantone Ticino (ricorso di
diritto pubblico)

    2P.143/2001 del 19 febbraio 2002

Regeste

    Art. 9, 20, 27, 36, 49, 62 und 63 BV; Art. 5 ff. UFG; Art. 14
des Tessiner Gesetzes vom 3. Oktober 1995 über die Universität der
italienischen Schweiz und über die Berufsschule der italienischen Schweiz
(LUni/TI); Namensschutz für öffentliche Universitäten; Bewilligungspflicht
für die Verwendung der Bezeichnung "Universität".

    Vereinbarkeit von Art. 14 LUni/TI mit dem Bundesrecht; die Kantone
sind befugt, den Namensschutz für öffentliche Universitäten auf ihrem
Gebiet zu regeln; insbesondere können sie, wie dies im Kanton Tessin
der Fall ist, die Verwendung der Bezeichnung "Universität" durch private
Bildungsinstitute einer Bewilligungspflicht unterstellen (E. 2).

    Die Bewilligungsauflage, dem Namen der Institution den Zusatz "privat"
beizufügen, ist mit dem vom Gesetz verfolgten Schutzzweck vereinbar. Eine
derartige Massnahme verletzt die angerufenen verfassungsmässigen Rechte
nicht; sie lässt sich durch ein ausreichendes öffentliches Interesse -
das Bestreben, jegliche Gefahr der Verwechslung mit der öffentlichen
Universität zu vermeiden - rechtfertigen und ist verhältnismässig (E. 3).

    Nicht auf eine genügende gesetzliche Grundlage stützen lässt
sich dagegen die Auflage, den Namen mit der präzisierenden Bezeichnung
"nicht akkreditiert" zu ergänzen. Sie verletzt die Wirtschaftsfreiheit,
auf welche sich der beschwerdeführende Verein berufen kann, da er nicht
allein einen rein ideellen Zweck verfolgt, welcher in keinem Zusammenhang
mit dem Einsatz von ökonomischen Mitteln stünde (E. 4).

Sachverhalt

    La legge ticinese sull'Università della Svizzera italiana e sulla
Scuola professionale della Svizzera italiana, del 3 ottobre 1995 (in

seguito: LUni/TI) stabilisce, all'art. 14, dal titolo marginale "Protezione
del nome", quanto segue:
      "1 È necessaria l'autorizzazione del Consiglio di Stato per usare nel

    Cantone le denominazioni Università, Istituto universitario e simili da

    parte di enti pubblici o privati che svolgono una qualsiasi attività.
       2 Nessun altro ente, pubblico o privato, può assumere nel Cantone la

    denominazione "Università della Svizzera italiana"."

    Il 27 settembre 1999 è stata costituita, con sede legale a Zugo,
un'associazione ai sensi degli art. 60 segg. CC, attualmente iscritta
nel registro di commercio del Canton Zugo con il nome "ASSOCIAZIONE
L.U.de.S. Libera Università degli Studi di Scienze Umane e Tecnologiche"
(in seguito: L.U.de.S.), la cui sede operativa e amministrativa è a
Lugano-Paradiso. Secondo l'art. 1 n. 3 dei propri statuti, L.U.de.S. ha
quale scopo "l'istruzione accademica e il perfezionamento a carattere
scientifico e di ricerca (Akademischer Unterricht und Ausbildung
sowie wissenschaftliche Forschung), avente come finalità inscindibili
l'istruzione, la formazione universitaria, la ricerca scientifica e
tecnologica". L'istituto si presenta al pubblico con la denominazione
"L.U.de.S. Libera Università degli Studi di Scienze Umane e Tecnologiche".

    Con istanze del 19 ottobre 1999, del 19 giugno 2000 e del 26 luglio
2000, L.U.de.S. ha chiesto al Consiglio di Stato del Cantone Ticino di
concederle l'autorizzazione per l'uso della denominazione "Università"
secondo l'art. 14 LUni/TI.

    L'8 maggio 2001 il Governo ticinese ha risolto quanto segue:
      "1. Denominazione: nella misura in cui si usa unicamente l'acronimo

    L.U.de.S. non si generano confusioni con l'Università della Svizzera

    italiana. La denominazione Libera università degli studi di scienze
umane

    e tecnologiche va seguita dall'indicazione "privata, non
accreditata". Le

    denominazioni "università svizzera" e "università" accompagnate dalla

    località Lugano vanno evitate perché fonte di equivoci. Questa

    denominazione potrebbe trarre in inganno circa l'esistenza di pretesi

    rapporti ufficiali con l'ente pubblico ed è quindi in contrasto
con l'art.

    6 della legge federale per la protezione degli stemmi pubblici e
di altri

    segni pubblici, del 5 giugno 1931 [...].
       2. Agli studenti, già nella fase di informazione e al momento

    dell'iscrizione, va chiaramente indicato che i titoli rilasciati dalla

    L.U.de.S. non sono equipollenti a titoli di università statali o

    accreditate svizzere o dell'EU. Nel caso il titolo venga dato

    congiuntamente con una università statale o accreditata svizzera o

    dell'EU, va chiaramente indicato il nome dell'università.

    I documenti che attestano l'accordo dell'università convenzionata sono

    da trasmettere all'Autorità cantonale. [...]
       3. Il Cantone Ticino non è competente per la valutazione relativa
       alla

    qualità dei corsi offerti; la L.U.de.S., i corsi e i diplomi rilasciati

    non sono accreditati nel sistema universitario svizzero.
       4. e 5. [...]"

    Il 28 maggio 2001 L.U.de.S. ha introdotto al Tribunale federale un
ricorso di diritto pubblico contro questa risoluzione.

    Il Tribunale federale ha parzialmente accolto il rimedio, in quanto
ammissibile, e ha annullato la decisione cantonale, nella misura in cui
impone alla ricorrente di aggiungere alla sua denominazione il complemento
"non accreditata".

Auszug aus den Erwägungen:

                        Dai considerandi:

Erwägung 2

    2.- a) La ricorrente contesta in primo luogo la costituzionalità
dell'art. 14 LUni/TI, adducendo che la competenza di emanare prescrizioni
in materia di formazione professionale e scuole universitarie spetterebbe,
in virtù dell'art. 63 Cost., alla Confederazione. Il principio della
preminenza del diritto federale (art. 49 Cost.) sarebbe pertanto
violato. Inoltre la norma in esame istituirebbe un monopolio illegittimo
a favore del Cantone nel proprio territorio, violando la libertà economica
sancita dall'art. 27 Cost.

    b) La disciplina stabilita con l'art. 14 LUni/TI, come indica il titolo
marginale del disposto ("Protezione del nome"), è intesa ad evitare che
nel Cantone Ticino siano creati istituti d'insegnamento, dichiarantisi
università che potrebbero essere confusi con l'Università della Svizzera
italiana (USI). Quest'ultima, istituita con la relativa legge cantonale
del 3 ottobre 1995 (v. art. 1 cpv. 1 LUni/TI), è stata riconosciuta il
1o novembre 2000 dalla Confederazione come università avente diritto ai
sussidi conformemente alla legge federale dell'8 ottobre 1999 sull'aiuto
alle università e la cooperazione nel settore universitario (legge
sull'aiuto alle università, LAU; RS 414.20); parallelamente il Cantone
Ticino è stato riconosciuto come Cantone universitario.

    L'art. 14 LUni/TI sancisce due principi: da un lato nessun altro
istituto d'insegnamento può avere lo stesso nome dell'università cantonale,
ossia "Università della Svizzera italiana" (art. 14 cpv. 2 LUni/TI),
dall'altro l'uso del termine "Università" (e simili) è sottoposto

ad autorizzazione, perché il Cantone possa imporre designazioni
supplementari che gli sembrino necessarie ai fini di evitare un rischio
di confusione con l'ateneo cantonale (art. 14 cpv. 1 LUni/TI). Oltre ad
essere intese come misure a tutela del nome, le precisazioni imponibili in
base all'art. 14 LUni/TI possono perseguire un interesse di polizia del
commercio, in quanto intendano evitare che scuole private siano confuse
con istituti che garantiscono un curricolo formativo riconosciuto, com'è
il caso per l'USI. In simili circostanze, la disciplina instaurata con
l'art. 14 LUni/TI costituisce, indirettamente, anche uno strumento per
fronteggiare l'attività di istituti d'insegnamento poco seri, intesi
al rilascio di titoli accademici senza che la formazione accordata
sia di livello universitario. In questa direzione andava peraltro un
appello del 28 ottobre 1993 della Conferenza universitaria svizzera ai
Direttori cantonali della pubblica educazione, versato agli atti, in cui
si invitavano i Cantoni a predisporre tutte le misure amministrative per
impedire tali attività. Ciò posto, va ora esaminata la costituzionalità
della norma litigiosa alla luce dell'ordinamento delle competenze.

    c) La competenza in materia di formazione spetta in prima linea
ai Cantoni (art. 62 e 63 Cost.; REGINA KIENER, Bildung, Forschung
und Kultur, in: Daniel Thürer e altri [editori], Verfassungsrecht
der Schweiz, Zurigo 2001, n. 1 pag. 904). Tale prerogativa include la
vigilanza anche nei confronti di istituzioni d'insegnamento private,
in prima analisi di scuole per l'istruzione scolastica di base,
generalmente sottoposte ad autorizzazione (cfr. art. 62 cpv. 2 Cost.;
HERBERT PLOTKE, Bildung und Schule in den kantonalen Verfassungen, in:
Strukturen des schweizerischen Bildungswesens, supplemento RDS, Basilea
1994, pag. 62; v. per il Cantone Ticino gli art. 80 segg. della legge
cantonale della scuola, del 1o febbraio 1990 [LSc/TI]). La vigilanza, nel
senso di un controllo di polizia del commercio fondato su un interesse
pubblico, può estendersi anche ad altri settori dell'insegnamento, come
le università private: la loro istituzione e il loro esercizio possono
essere sottoposti a restrizioni da parte del Cantone, e ciò in base alla
sua menzionata competenza in materia di formazione (art. 62 Cost.) o,
più generalmente, alla sua sovranità in materia di polizia (cfr. HERBERT
PLOTKE, Rechtliche Massnahmen gegen unseriöse private Ausbildungsstätten
auf Hochschulstufe und gegen wertlose oder täuschende akademische Titel,
in: Private Institutionen auf Hochschulstufe - Rechtsfragen, edito dalla
Conferenza svizzera dei direttori cantonali della pubblica educazione
[CDPE], Berna 1990, pag. 37 segg., 64 segg., 130; BEATRICE

WAGNER PFEIFER, Staatlicher Bildungsauftrag und staatliches
Bildungsmonopol, in: ZBl 99/1998 pag. 268). Del resto, nella misura
in cui siano minacciati beni di polizia, intesi, segnatamente, alla
protezione del pubblico da istituti d'insegnamento poco seri, e quindi
sia minacciata la buona fede nei rapporti commerciali, un intervento del
Cantone è senz'altro giustificato (WAGNER PFEIFER, op. cit., pag. 256
e 269; cfr. anche Pra 85/1996 n. 2 pag. 3, 2P.95/1993, consid. 3 e 4).

    D'altra parte anche l'art. 944 CO è inteso alla tutela di interessi
pubblici: esso, infatti, può essere richiamato anche dai Cantoni per
evitare che istituti didattici privati utilizzino, nella loro ragione
sociale, denominazioni suscettibili di creare un rischio di confusione
con le scuole pubbliche, partecipando così - indebitamente - alla loro
credibilità e alla loro rinomanza (DTF 100 Ib 29 consid. 4; PLOTKE,
Rechtliche Massnahmen, op. cit., pag. 75 seg.; WAGNER PFEIFER, op. cit.,
pag. 268). Al pari dell'art. 29 cpv. 2 CC - applicabile se sia in
discussione il nome di un'associazione o di una fondazione, pur rilevando
che i principi in materia di protezione delle ditte commerciali sono validi
per analogia, nella misura in cui ciò sia giustificato dalla similitudine
degli interessi perseguiti dalle rispettive norme di protezione (DTF 102
II 161 consid. 2; cfr. anche DTF 83 II 249 consid. 2 e 116 II 605 consid.
4a; PLOTKE, Rechtliche Massnahmen, op. cit., pag. 84 seg.) - l'art. 944
CO, in quanto norma del diritto federale, non impedisce però al Cantone
di disciplinare la protezione del nome della propria università mediante
una norma di diritto pubblico cantonale - fondata sull'art. 62 cpv. 1
Cost. - nei confronti di istituti che soggiacciono alla sua sovranità
territoriale (cfr. DTF 97 I 116 consid. 4 e 5; WAGNER PFEIFER, op. cit.,
pag. 268). In particolare non vi osta l'art. 63 cpv. 2 Cost., come del
resto il precedente art. 27 vCost.: certo, in quanto sancisce che la
Confederazione può istituire, gestire o sostenere scuole universitarie e
altri istituti di formazione superiore, tale norma instaura una competenza
della Confederazione. Sennonché, tale prerogativa non preclude quella
cantonale, che è da intendersi perlomeno parallela a quella federale
(KIENER, op. cit., n. 11 pag. 907/908; MARCO BORGHI, in: Commentario
della Costituzione federale svizzera del 18 maggio 1874, n. 1 ad art. 27
Cost.; JEAN-LUC GASSMANN, La répartition des compétences dans le domaine
de la formation, de la recherche et des médicaments, in: Thomas Fleiner
e altri [editori], BV-CF 2000, Die neue schweizerische Bundesverfassung,
Basilea/Ginevra/Monaco 2000, pag. 176). Si può infine rilevare che queste
ultime considerazioni

valgono anche qualora la legge federale del 5 giugno 1931 per la protezione
degli stemmi pubblici e di altri segni pubblici (RS 232.21; in seguito:
legge per la protezione degli stemmi pubblici), espressamente richiamata
dal Consiglio di Stato nella decisione impugnata, tutelasse le università:
ciò è peraltro dubbio, ma tale quesito può rimanere indeciso (cfr.
anche consid. 4b).

    d) Ne discende che la normativa cantonale in esame non viola la forza
derogatoria del diritto federale sancita dall'art. 49 Cost. né altrimenti
determina un monopolio illecito a favore dello Stato. Del resto è perlomeno
legittimo - comunque non anticostituzionale - emanare una norma intesa,
come nel caso dell'art. 14 LUni/TI, ad evitare confusioni e pertanto
a tutelare gli utenti. A quest'ultimo proposito va precisato che con
l'accezione "Università", ritenuta singolarmente, in Svizzera è comunemente
inteso un ateneo pubblico o perlomeno un istituto d'insegnamento e di
ricerca sostenuto dallo Stato, come già rilevato dal Tribunale federale
in DTF 97 I 116 consid. 5b. Ora, proprio come in quella vertenza,
anche l'attuale ricorrente si è conformata - di fatto - a tale tesi,
avendo aggiunto sin dall'inizio, per la designazione dell'istituto,
il termine "Libera" alla denominazione "Università" (cfr. DTF 97 I 116
segg. nella causa "Verein Freie Evangelisch-Theologische Hochschule Basel",
consid. 5b).

    La critica d'incostituzionalità dell'art. 14 LUni/TI risulta pertanto
infondata. Rimane da esaminare la legittimità delle singole condizioni
alla luce delle ulteriori censure ricorsuali.

Erwägung 3

    3.- a) La ricorrente contesta l'obbligo di posporre alla propria
denominazione il termine "privata": l'accezione "Libera Università"
sarebbe sufficiente per esprimere il carattere privato della propria
istituzione. A torto. Anzitutto, l'esigenza di aggiungere il termine
"privata" è conforme allo scopo perseguito dall'art. 14 LUni/TI:
trattandosi nel caso della ricorrente di un istituto non statale, il
termine "libero" non è sufficientemente chiaro per fare capire a terzi la
natura effettiva dell'ente. Come ritenuto a ragione dal Consiglio di Stato
nella propria risposta, il termine "Libera" associato a "Università",
non è immediatamente e esclusivamente riconducibile, in Svizzera, ad
un'università privata. Del resto esistono atenei che pur denominandosi
"Libera Università" sono, in realtà, istituti statali (come ad esempio
la "Freie Universität Berlin"; cfr. art. 1 della legge berlinese
sulle università, del 17 novembre 1999 [Gesetz über die Hochschulen im
Land Berlin, Berliner Hochschulgesetz, BerlHG]; v. anche DTF 97 I 116
consid. 5d). Come stabilito anche dal Tribunale

federale nella sentenza appena citata, l'espressione "libera" -
perlomeno per i parametri svizzeri - può risultare ambigua; in ogni caso,
combinata con il termine "Università" tale espressione non è univoca come
contrapposizione a "statale" (cfr. DTF 97 I 116 consid. 5d, in cui il
divieto impartito all'associazione "Verein Freie Evangelisch-Theologische
Hochschule Basel" di recare questo nome è stato giudicato conforme alla
costituzione federale; cfr. anche DTF 125 I 347 consid. 3c concernente la
"Freie Öffentliche Schule Freiburg"). In altri termini, se anche, come
afferma l'insorgente, l'accezione "Libera", associata a "Università",
fosse chiara per il mondo accademico (internazionale), non è affatto
dimostrato che tale significato - ed è determinante - sarebbe certo e
evidente per tutti i potenziali utenti. In conformità agli obiettivi
perseguiti dall'art. 14 LUni/TI è pertanto concepibile pretendere da un
organismo privato, come in concreto, una denominazione che non possa essere
confusa con l'esistente Università della Svizzera italiana. Ad ogni modo,
e contrariamente all'opinione dell'associazione ricorrente, tale obbligo
non si riferisce alla sua esistenza o al suo nome iscritto nel registro
di commercio, bensì esplica effetti diretti solo sulla denominazione
dell'istituto d'insegnamento da lei gestito nella comunicazione verso terzi
(cfr. anche DTF 97 I 116 consid. 5b). Con il complemento contestato - che
peraltro riproduce la natura veritiera, ossia privata, dell'istituto - non
sono neppure in discussione, né risultano altrimenti limitate, le attività
scientifiche, di ricerca e di insegnamento proposte dalla ricorrente.

    b) Per le ragioni descritte, nell'obbligo litigioso non è
individuabile una limitazione della libertà della scienza (art. 20
Cost.). Ma quand'anche una restrizione fosse ravvisabile - così come
una limitazione delle ulteriori garanzie invocate, quali la libertà
d'associazione (art. 23 Cost.) e la libertà economica (art. 27 Cost.),
sempreché la ricorrente possa validamente prevalersene, ma il quesito
può su questo punto rimanere indeciso - essa sarebbe sorretta da un
interesse pubblico sufficiente, inteso ad escludere un rischio latente
di confusione con un ateneo pubblico. Inoltre, essa risulterebbe
senz'altro idonea e adeguata, quindi proporzionata a tale scopo, poiché
inequivocabile relativamente alla natura dell'istituto e di agevole
applicazione. Ritenuta poi soddisfatta l'esigenza di una base legale
sufficiente - essendo l'art. 14 LUni/TI contenuto in una legge in senso
formale e di chiaro tenore - tale restrizione sarebbe pertanto conforme
all'art. 36 Cost. A maggior ragione la decisione impugnata non risulta
arbitraria, ossia manifestamente insostenibile,

destituita di fondamento serio e oggettivo o in palese contrasto con il
senso di giustizia e di equità (sulla nozione di arbitrio: DTF 127 I 54
consid. 2b, 60 consid. 5a; 125 I 166 consid. 2a e relativi rinvii). Infine,
nella misura in cui la ricorrente censura una pretesa disparità di
trattamento (art. 8 Cost.) con altre strutture analoghe a cui non sarebbe
imposta la medesima condizione, il gravame è irricevibile per carenza di
motivazione (sul cosiddetto principio dell'allegazione v. DTF 117 Ia 393
consid. 1c). In particolare, l'insorgente non evoca, nell'impugnativa,
alcun istituto privato, non riconducibile all'Università della Svizzera
italiana, a cui il Cantone Ticino avrebbe consentito l'uso del termine
"Università" senza dover aggiungere il termine "privata".

Erwägung 4

    4.- L'insorgente contesta inoltre la legittimità dell'obbligo
comminatole di posporre alla propria denominazione il complemento "non
accreditata". L'imposizione di una tale condizione a un ente, come nel
suo caso, di recente costituzione e comunque inteso all'ottenimento di
una certificazione di qualità, costituirebbe un intervento arbitrario,
non sorretto da una valida base legale, che potrebbe avere un impatto
negativo sugli utenti e quindi pregiudicare la serietà dell'iniziativa
didattica perseguita.

    a) La legge sull'aiuto alle università stabilisce all'art. 5 che
sulla base di una convenzione di cooperazione tra la Confederazione e i
Cantoni universitari (di cui fa parte, come si è accennato, il Cantone
Ticino), può essere istituita la "Conferenza universitaria svizzera"
(CUS), ossia un organo comune della politica universitaria con potere
decisionale, competente - segnatamente - per riconoscere istituti o cicli
di studio (art. 6 cpv. 1 lett. d LAU), come pure per emanare direttive
sulla valutazione dell'insegnamento e della ricerca (art. 6 cpv. 1 lett. e
LAU). Questo organo, di cui il Cantone Ticino è membro, è stato istituito
mediante il concordato intercantonale del 9 dicembre 1999 sul coordinamento
universitario (in seguito: concordato), a cui il Cantone Ticino ha aderito
il 6 giugno 2001, completato dalla convenzione tra la Confederazione e i
Cantoni universitari sulla cooperazione nel settore universitario, del 14
dicembre 2000 (RS 414.205; in seguito: convenzione sulla cooperazione),
sottoscritta dal Cantone Ticino il 19 settembre 2001. L'art. 7 LAU, dal
titolo marginale "accreditamento e garanzia della qualità", sancisce che
la Confederazione, i Cantoni universitari e le università garantiscono
e sviluppano la qualità dell'insegnamento e della ricerca (cpv. 1). Il
capoverso 2 del disposto stabilisce che la Confederazione e i Cantoni
universitari istituiscono, a tale scopo, un organo

indipendente incaricato, a destinazione della CUS, di - segnatamente -
definire le esigenze relative alla garanzia della qualità e verificare
regolarmente la loro osservanza (lett. a), di formulare proposte per
attuare a livello nazionale una procedura che consenta di accreditare
le istituzioni che intendono ottenere l'accreditamento per se stesse
oppure per taluni dei loro cicli di studio (lett. b) e di verificare
in base alle direttive stabilite dalla Conferenza universitaria la
legittimità dell'accreditamento (lett. c). Tale organo, denominato
"Organo di accreditamento e di garanzia della qualità" (OAQ), è stato
istituito mediante il concordato e la convenzione sulla cooperazione
citati, i quali ne precisano le competenze e i compiti.

    Ora, queste normative possono determinare procedura e condizioni
materiali per il riconoscimento, ma non instaurano alcun obbligo
per istituti privati già esistenti o fondati da poco, di sottoporsi a
questa procedura di riconoscimento, rispettivamente di offrire cicli di
studio che soddisfino le condizioni per un riconoscimento. Inoltre, tale
regolamentazione non contiene una disposizione da cui si possa dedurre
un obbligo per istituti non riconosciuti o non ancora riconosciuti di
recare esplicitamente la menzione "non accreditati". L'esigenza, imposta
dal Consiglio di Stato alla ricorrente, di aggiungere il termine "non
accreditata" non dispone pertanto di una base legale nella legislazione
federale in materia di università, né nelle relative convenzioni, né infine
nel regolamento dell'Organo di accreditamento e di garanzia della qualità,
del 22 febbraio 2001.

    b) Una base legale per l'obbligo di recare la menzione "non
accreditata" non può essere ravvisata neppure nella legge per la protezione
degli stemmi pubblici, che ha quale scopo di assicurare in modo speciale la
protezione dei segni pubblici contro il rischio di un'utilizzazione abusiva
nell'ambito commerciale (DTF 116 IV 254 consid. 1a). In particolare,
la denominazione della ricorrente non sembra rientrare nel campo
d'applicazione della normativa, segnatamente dell'art. 6 della legge
per la protezione degli stemmi pubblici, che vieta l'utilizzazione di
denominazioni ufficiali del tipo "Confederazione", "federale", "Cantoni",
"cantonale", "Comune", "comunale", rispettivamente di "espressioni facili
a confondere con queste parole", vietate siccome suscettibili di far
supporre erroneamente, a fini commerciali, l'esistenza di una relazione
tra l'impresa e la Confederazione, un Cantone o un Comune (DTF 116 IV 254
consid. 1b; 102 IV 46 consid. 3). Il quesito del campo d'applicazione di
questa legge non va comunque approfondito poiché un rischio di confusione
con l'ateneo cantonale è già da ritenersi escluso con l'esigenza,

fondata sull'art. 14 LUni/TI e non anticostituzionale, di aggiungere il
termine "privata" (cfr. consid. 3).

    c) Come base legale per la menzione "non accreditata" entra in
considerazione solo l'art. 14 LUni/TI, la cui validità va esaminata alla
luce dei diritti fondamentali invocati, in primo luogo della libertà
economica: la ricorrente ne ravvisa la violazione, in sostanza perché
il provvedimento in questione lederebbe la libera promozione della sua
attività nel settore dell'insegnamento.

    aa) La libertà economica garantita dall'art. 27 cpv. 1
Cost. - e precedentemente (denominata libertà di commercio e
d'industria) dall'art. 31 vCost., di cui riprende essenzialmente
i principi e le modalità (cfr. RENÉ RHINOW, Die Bundesverfassung
2000, Basilea/Ginevra/Monaco 2000, pag. 307 segg.) - protegge ogni
attività economica privata esercitata a titolo professionale, volta al
conseguimento di un guadagno o di un reddito (DTF 125 I 267 consid. 2b,
276 consid. 3a; 124 I 310 consid. 3a; RDAT 2001 I n. 45 pag. 175,
2P.11/2000, consid. 5a e relativi rinvii). Essa include in particolare
la libera scelta della professione, il libero accesso a un'attività
economica privata e il suo libero esercizio (art. 27 cpv. 2 Cost.). La
ricorrente, costituita nella forma di un'associazione ed esercitante
un'attività privata d'insegnamento e di ricerca, può da questo profilo
senz'altro richiamarsi al precetto (ETIENNE GRISEL, Liberté du commerce
et de l'industrie, vol. I, n. 422 pag. 154). Sennonché, nell'esercizio
del proprio istituto d'insegnamento l'insorgente agisce, secondo le
sue dichiarazioni, senza scopo lucrativo. Ora, il presupposto di un
fine economico rientra nella nozione medesima di libertà economica e,
come tale, è sempre preteso (GRISEL, op. cit., n. 380 pag. 143; RENÉ
RHINOW, in: Commentario della Costituzione federale svizzera del 18 maggio
1874, n. 70 ad art. 31 Cost.). Questa condizione va però relativizzata,
nel senso che non necessariamente è richiesto, come obiettivo unico,
il conseguimento di un utile o di un profitto (cfr. ZBl 101/2000
pag. 215, 1A.183/1998, consid. 2b): in questo quadro si può riconoscere
uno scopo di lucro (in senso ampio), quando per il perseguimento di un
fine ideale - come ad esempio per le attività culturali - si sfruttano
risorse commerciali per coprire le spese di gestione, ossia si ricercano
entrate economiche, necessarie per espletare la propria attività (v.
DTF 56 I 431 consid. 1; ZBl 71/1970 pag. 379, P.13/1969, consid. 5;
GRISEL, op. cit., n. 236 pag. 98; RHINOW, in: Commentario cit., n. 71
ad art. 31 Cost.; JEAN-FRANÇOIS AUBERT, Bundesstaatsrecht der Schweiz,
Basilea 1995, vol. II, n. 1873 pag. 1136). Nel caso

specifico, la ricorrente necessita senza dubbio di entrate, talora
cospicue, per la conduzione del suo istituto e come tale agisce alla
ricerca di fondi, finanziati in parte dalle rette degli studenti. A
quest'ultimo proposito giova poi rilevare che l'insegnamento non viene
dispensato a titolo gratuito, bensì - perlomeno parzialmente - in virtù
del versamento di tasse d'iscrizione ai corsi, quale "controprestazione
pecuniaria", qualificabile come parte costitutiva della nozione di
"attività lucrativa" (cfr. DTF 56 I 431 consid. 1). Ne discende che,
gestendo una scuola privata, la ricorrente non persegue uno scopo ideale
puro, senza connessione con un impiego di mezzi economici, e può quindi
richiamare la protezione della libertà economica (v. JÖRG PAUL MÜLLER,
Grundrechte in der Schweiz, 3a ed., Berna 1999, pag. 647; GIOVANNI
BIAGGINI, Wirtschaftsfreiheit, in: Daniel Thürer e altri [editori],
Verfassungsrecht der Schweiz, Zurigo 2001, n. 7 pag. 782; nella misura
in cui da DTF 80 I 139 consid. 2 e 97 I 116 consid. 4 possa evincersi
un'altra opinione, essa non può essere mantenuta).

    bb) Conformemente all'art. 36 cpv. 1 Cost. le restrizioni dei diritti
fondamentali devono avere una base legale (prima frase). Se gravi, devono
essere previste dalla legge medesima (seconda frase). Sono eccettuate le
restrizioni ordinate in caso di pericolo grave, immediato e non altrimenti
evitabile (terza frase). Qualora sussista una limitazione grave di un
diritto fondamentale, il Tribunale federale esamina liberamente se essa
poggi su una base legale sufficiente; se non è grave, la cognizione è
ristretta all'arbitrio (DTF 124 I 310 consid. 3b; 123 I 212 consid. 3a;
122 I 130 consid. 3a/bb e relativi riferimenti; WALTER KÄLIN, Das Verfahren
der staatsrechtlichen Beschwerde, 2a ed., Berna 1994, pag. 177). Il quesito
di sapere se l'obbligo per la ricorrente di aggiungere la menzione "non
accreditata" alla propria denominazione configuri una limitazione grave
della libertà economica può rimanere indeciso, poiché la censura di una
base legale carente è fondata già dal profilo dell'arbitrio.

    cc) Anzitutto va premesso che il concetto di "riconoscimento",
rispettivamente di "accreditamento", ai sensi della legislazione federale
sull'aiuto alle università si riferisce sia ai singoli istituti come
pure ai cicli di studio proposti e ai diplomi rilasciati (messaggio
n. 98.070 del Consiglio federale del 25 novembre 1998 sul promovimento
della formazione, della ricerca e della tecnologia negli anni 2000-2003,
FF 1999 pag. 355/356; sul significato del riconoscimento v. anche PLOTKE,
Rechtliche Massnahmen, op. cit., pag. 67 segg.). Non risulterebbe pertanto
sempre chiaro riconoscere d'acchito a

che elemento la menzione di non riconoscimento si riferisca, anche se nel
caso specifico l'aggettivo femminile "non accreditata" non lascerebbe
spazio a dubbi riguardo a un mancato riconoscimento dell'istituto in
quanto tale, autodefinitosi "Università". In secondo luogo va rilevato
che un mancato riconoscimento non configura necessariamente uno stato
durevole. In effetti, ogni istituto d'insegnamento neocostituito abbisogna
generalmente di un certo tempo per ottenere il riconoscimento dei propri
cicli di studio e dei diplomi rilasciati, proprio come è stato il caso
per il Cantone Ticino con l'USI. All'occorrenza bisognerebbe correggere
o relativizzare la precisazione in questione, a seconda dell'evoluzione
del processo di accreditamento. Certo, può essere senz'altro concepibile
e giustificato, quindi legittimo, che un istituto privato menzioni nella
propria pubblicità, in modo veritiero, che dispone di un riconoscimento
e quale sia la sua estensione (PLOTKE, Rechtliche Massnahmen, op. cit.,
pag. 69); d'altra parte ci si deve attendere da un istituto corretto
che, in virtù del principio della buona fede nei rapporti commerciali,
informi nella propria documentazione circa il riconoscimento o il
non riconoscimento dei cicli di studio offerti, rispettivamente dei
diplomi rilasciati, senza pubblicare dichiarazioni false o adescanti.
In questo senso, eventuali disposizioni che obblighino gli istituti
privati ad informare correttamente gli utenti interessati non sarebbero
sproporzionate. Orbene, nel caso in rassegna la decisione impugnata
stabilisce precisamente, nella propria cifra 2, un siffatto obbligo di
informazione, che la ricorrente non solo non contesta, ma che, anzi,
dichiara di rispettare.

    Litigioso è, piuttosto, il quesito di sapere se un istituto
d'insegnamento neocostituito possa essere obbligato a indicare,
nella propria denominazione, che non è riconosciuto. Certo, mediante
una simile precisazione i potenziali utenti sarebbero informati in
modo immediatamente riconoscibile sull'attuale valore della formazione
dispensata, non (ancora) riconosciuta ai sensi della legislazione federale
sull'aiuto alle università, nella misura in cui i cicli di studio
offerti appartengano effettivamente alle categorie d'insegnamento ivi
contemplate. Sennonché, tale obbligo - come sostiene a giusto titolo la
ricorrente - potrebbe pregiudicare lo sviluppo perseguito dall'istituto e
quindi il raggiungimento delle finalità accademiche sancite dagli statuti
societari. Considerata questa evenienza alla luce della libertà economica,
la misura impugnata non trova riferimento diretto nell'art. 14 LUni/TI,
essenzialmente inteso - come rilevato in precedenza - alla tutela del
nome dell'università pubblica. Tale

disposto, al pari delle altre norme richiamate nella risoluzione
querelata, non costituisce, pertanto, una base legale sufficiente per
la condizione impugnata. In simili circostanze, le censure ricorsuali
di violazione della libertà economica risultano fondate per carenza
di base legale, senza che ricorrano gli estremi previsti dall'art. 36
cpv. 1 terza frase Cost. Stante questo esito, non occorre stabilire se
e in quale misura le ulteriori garanzie invocate siano lese. Neppure
occorre vagliare la portata delle pratiche che la ricorrente dichiara di
avere parallelamente in corso per la certificazione e il riconoscimento
di propri corsi presso la Divisione della formazione professionale del
Cantone Ticino, secondo le norme della legge ticinese sull'orientamento
scolastico e professionale e sulla formazione professionale e continua,
del 4 febbraio 1998 (Lorform/TI), oppure presso la Croce Rossa Svizzera,
rispettivamente il Dipartimento formazione professionale della Conferenza
dei direttori cantonali della sanità.

Erwägung 5

    5.- Per quanto riguarda le ulteriori condizioni, l'insorgente non
critica l'obbligo di non usare le denominazioni "Università svizzera" e
"Università" accompagnate dalla località Lugano, né quello - come detto
in precedenza - di indicare chiaramente agli studenti, già nella fase
di informazione e al momento dell'iscrizione, che i titoli rilasciati
dalla L.U.de.S. non sono equipollenti a titoli di università statali o
accreditate svizzere o dell'UE. Neppure contesta la condizione di indicare
chiaramente il nome del relativo ateneo, nel caso in cui il titolo venga
dato congiuntamente con una università statale o accreditata svizzera o
dell'UE. Censura invece, ritenendolo arbitrario, l'obbligo sancito nella
cifra 2 della decisione impugnata di trasmettere all'autorità cantonale i
documenti che attestano eventuali accordi di università convenzionate. In
che misura questa condizione sia pregiudizievole e anticostituzionale
non risulta, o non risulta con sufficiente chiarezza, dalle allegazioni
ricorsuali. È comunque legittimo che il Cantone Ticino, sulla base delle
convenzioni sottoscritte a livello nazionale in materia di riconoscimento
di istituti, cicli di studio o diplomi, voglia formarsi un'opinione sulle
operazioni della ricorrente.

Erwägung 6

    6.- Per le ragioni esposte, il ricorso, nella misura in cui è
ammissibile, risulta fondato limitatamente alla condizione imposta alla
ricorrente di aggiungere alla propria denominazione l'indicazione "non
accreditata". Ciò stante, poco importa che l'insorgente abbia introdotto,
pendente questa procedura, un'istanza di accreditamento ai sensi della
legge sull'aiuto alle università, come traspare dai

suoi scritti inviati al Tribunale federale il 21 dicembre 2001 e il 15
gennaio 2002, senza esservi stata invitata, e sulla cui ammissibilità,
di conseguenza, non occorre determinarsi.