Sammlung der Entscheidungen des Schweizerischen Bundesgerichts
Collection des arrêts du Tribunal fédéral suisse
Raccolta delle decisioni del Tribunale federale svizzero

BGE 101 IA 602



101 Ia 602

92. Estratto della sentenza del 12 dicembre 1975 nella causa P. e H.
Morlacchi contro Ministero pubblico della Confederazione. Regeste

    Europäisches Auslieferungsübereinkommen; schweizerisches
Auslieferungsgesetz (AuslG).

    1. Relativ politische Tat; Art. 3 §§ 1 und 2 des Übereinkommens;
Art. 10 Abs. 2 AuslG. Das Urteil über die politische Natur der Straftat
steht einzig dem ersuchten Staat zu (E. 6).

    2. Unanwendbarkeit des Grundsatzes der Gegenseitigkeit. Das Fehlen von
Gegenseitigkeit in der Beurteilung des politischen Charakters - indem der
ersuchende Staat Delikte für politisch hält, die es nach schweizerischem
Recht nicht sind, und daher die Auslieferung für ähnliche Fälle nicht
bewilligen würde - steht einer Auslieferung durch die Schweiz nicht
entgegen (E. 9).

Sachverhalt

    A.- L'Ambasciata d'Italia a Berna, con note 3, 17 e 11 agosto 1975,
fondandosi sui mandati di cattura 10 maggio, 14 giugno 1974 e 31 luglio
1975 del Sostituto Procuratore della Repubblica di Torino, rispettivamente
del giudice istruttore e del consigliere istruttore presso il Tribunale
di Milano, ha chiesto l'estradizione dei coniugi Pietro Morlacchi e
Heidi-Ruth Morlacchi-Peusch, arrestati rispettivamente il 12 febbraio
1975 a Bellinzona e il 5 luglio 1975 a Ginevra e posti in seguito in
detenzione preventiva a titolo estradizionale.

    A Pietro Morlacchi gli inquirenti italiani addebitano la
partecipazione, in concorso con la moglie e con terzi, alla rapina
perpetrata in data 30 luglio 1971 ai danni della filiale di Pergine della
Banca di Trento e Bolzano, come pure la partecipazione a un'incursione nel
centro studi "don Sturzo" in Torino; l'estradizione di Pietro Morlacchi è
chiesta, a dipendenza dei cennati fatti, per i reati di rapina aggravata,
violazione di domicilio aggravata, sequestro di persona e lesioni
volontarie aggravate; per il reato di partecipazione ad associazione
sovversiva, ritenuto dal mandato di cattura 10 maggio 1974, l'estradizione
non è chiesta.

    A Heidi Morlacchi gli inquirenti italiani addebitano la partecipazione
alla rapina di Pergine, di cui sopra, e ad un'incursione, posta in
atto il 15 marzo 1972, presso la sede del M.S.I. di Cesano Boscone,
da cui la domanda di estradizione per il reato di concorso in rapina
aggravata. Entrambi i ricercati si sono opposti alla loro estradizione
facendo tra l'altro valere che i fatti loro rimproverati costituirebbero
delitti politici. La Divisione di polizia del Dipartimento federale di
giustizia e Polizia e il Ministero pubblico della Confederazione contestano
il carattere di reato politico ai fatti addebitati ai ricercati e postulano
la reiezione dell'opposizione.

    Il Tribunale federale ha respinto le opposizioni dei coniugi Morlacchi
e ha accordato l'estradizione all'Italia per tutti i reati per i quali
la stessa venne richiesta.

Auszug aus den Erwägungen:

                    Considerato in diritto:

Erwägung 5

    5.- Tanto Pietro Morlacchi, quanto Heidi Morlacchi-Peusch fanno
valere che i fatti, loro rimproverati, costituiscono delitti politici a'
sensi dell'art. 3 § 1 della Convenzione; essi sostengono inoltre che
l'estradizione dovrebbe essere rifiutata, perché la loro situazione
in Italia arrischierebbe d'essere aggravata in conseguenza delle loro
opinioni politiche (art. 3 § 2). Infine, Pietro Morlacchi - e l'obiezione
vale anche per la di lui moglie - assevera che comunque farebbe ostacolo
all'estradizione la regola della reciprocità: quand'anche sotto il
profilo svizzero, i reati imputati non rivestissero carattere politico,
tale connotazione essi avrebbero alla luce del diritto italiano, per cui
l'Italia, nel caso inverso, rifiuterebbe l'estradizione. Per il principio
di reciprocità, questa non potrebbe quindi neppur essere accordata dalla
Svizzera. Queste obiezioni sono esaminate nell'ordine in appresso.

Erwägung 6

    6.- a) Come espressamente risulta dai §§ 1 e 2 dell'art. 3
della Convenzione, il giudizio circa la natura politica del reato,
rispettivamente circa la situazione che attende il perseguito nello
Stato richiedente, compete unilateralmente allo Stato richiesto. Da
ciò e dal fatto che la Convenzione si astiene (volutamente) dal dare o
tentare una definizione di reato politico, la giurisprudenza svizzera
ha dedotto che tali questioni vanno risolte partendo dal punto di vista
svizzero ed in applicazione del diritto svizzero, senza tener conto della
legislazione o della giurisprudenza dello Stato richiedente (DTF 90 I
299 e riferimenti; 95 I 469 consid. 7; 99 Ia 556; 101 Ia 64). D'altronde,
tale giurisprudenza relativa alla Convenzione non ha fatto che confermare
la giurisprudenza già applicata sotto il regime dei trattati bilaterali
(DTF 34 I 544 e riferimenti; 90 I 299 e riferimenti); indipendentemente
dal modo più o meno preciso, col quale il Trattato definiva il reato
politico, il Tribunale federale - con l'approvazione della dottrina -
ha sempre ricondotto tale nozione a quella delineata nell'art. 10 LEstr.,
segnatamente nel capoverso secondo di tale disposizione (SCHULTZ, Schweiz.
Auslieferungsrecht, pag. 440).

    Questa indipendenza di giudizio, rivendicata in giurisprudenza,
trova d'altronde riscontro nell'attitudine assunta dalla Svizzera a
proposito del § 3 dell'art. 3 della Convenzione, disposizione che vuol
escludere espressamente dal novero dei delitti politici l'attentato alla
vita del Capo dello Stato (cosiddetta clausola d'attentato o clausola
belga). Valendosi della facoltà accordatale dall'art. 26 § 1 della
Convenzione, la Svizzera ha infatti dichiarato (DF del 27 settembre 1966,
art. 2 ad art. 3 § 3 della Convenzione) ch'essa si riserva il diritto di
rifiutare l'estradizione, fondandosi sul § 1 dell'art. 3, anche allorquando
questa è domandata per attentato alla vita di un Capo di Stato o di un
membro della sua famiglia (cfr. Messaggio del CF; FF 1966 I pag. 434,
n. 4).

    b) Il fatto, che il carattere politico di un'infrazione debba
giudicarsi dal punto di vista svizzero ed in applicazione del diritto
svizzero non significa però - sia subito rilevato - che in questo esame non
si possa e, se del caso, non si debba tener conto anche della situazione
esistente nello Stato richiedente, segnatamente sotto l'aspetto politico,
legislativo, costituzionale, ed aver riguardo alla sua concezione delle
libertà fondamentali della persona, al rispetto di cui, concretamente,
tali libertà godono, all'indipendenza ed all'obiettività dell'apparato
giudiziario. Ciò risulta implicitamente dal § 2 dell'art. 3 della
Convenzione (DTF 95 I 468 consid. 6), e dall'art. 10 cpv. 2 LEstr., che
fa obbligo al Tribunale federale di pronunziarsi "liberamente, in ogni
caso particolare e secondo i fatti della causa, sul carattere del reato",
tenendo presente nell'applicazione di codesto articolo, persino nei casi
in cui la Convenzione non torna direttamente applicabile, i principi ai
quali essa si ispira, che - come quelli della Convenzione europea dei
diritti dell'uomo - sono presunti conformi all'ordinamento giuridico
interno (DTF 99 Ia 556).

Erwägung 7

    7.- I fatti ritenuti contro i ricercati e per i quali l'estradizione è
richiesta costituiscono tutti infrazioni comuni. Giusta l'art. 3 § 1 della
Convenzione e l'art. 10 cpv. 2 LEstr. essi possono tuttavia assurgere a
reati politici, per cui l'estradizione è esclusa, se un carattere politico
predominante è loro conferito dalle circostanze in cui sono stati commessi,
segnatamente dal loro movente e dal loro scopo (DTF 90 I 299 e riferimenti;
95 I 469; 101 Ia 64/65 consid. 5b; DTF 101 Ia 425/426 consid. 6b).

    Come risulta espressamente dalla legge, e come la giurisprudenza ha
costantemente ribadito, la sola motivazione politico-ideologica del reato
non basta per conferire a questo carattere politico predominante. Anche
se il movente anarchico d'una infrazione non esclude a priori la natura
politica del reato (DTF 17 pag. 456; 27 I 85; 95 I 469), i motivi addotti
- particolarmente da Heidi Peutsch nella memoria del suo patrono (esser
l'attacco alla banca semplicemente la messa in pratica della teoria della
riappropriazione, che legittima i lavoratori proletari a ricuperare quanto
i grandi capitalisti hanno sottratto in origine ai produttori) - non
bastano per conferire carattere prevalentemente politico all'infrazione,
quand'anche si ritenesse ch'essa sia stata effettivamente ispirata da fini
altruistici ed ideali. Checché pretendano gli opponenti, tale attacco non
è intervenuto, come sarebbe richiesto, nell'ambito di una lotta immediata
contro o per il potere, e ciò nemmeno se si considerano le cose sotto la
visuale soggettiva che di esse potevano avere gli autori (DTF 90 I 299;
95 I 469). Esso non era neppure inteso a sottrarre alcuno ad un potere
che escludesse ogni forma d'opposizione, e facesse apparire il ricorso al
reato quale una sorta di "ultima ratio" (DTF 78 I 50 segg.). D'altro canto,
nelle circostanze concrete del momento in Italia, faceva manifestamente
difetto ogni ragionevole proporzione tra la gravità dell'azione, ed i
rischi ch'essa poteva comportare per terzi assolutamente non coinvolti
nella agitazione politica, da un lato, ed il fine perseguito, dall'altro:
ragionevole proporzione che potesse far apparire, se non giustificato,
perlomeno comprensibile o scusabile il reato. La necessità di finanziare
movimenti estremisti, di qualsiasi bordo, o di procurare fondi per
soccorrere aderenti in difficoltà con la polizia non scusa né tantomeno
legittima, in momenti che sicuramente non possono essere definiti di
agitazione rivoluzionaria, il ricorso ad atti di gratuita violenza,
pretestuosamente diretti contro i "proprietari del gran capitale", ma
di cui avrebbero potuto far concretamente le spese gli impiegati della
sede bancaria, o il pubblico ivi presente. Né vale addurre, che se il
partito comunista italiano prendesse il potere, le attività rivoluzionarie
delle brigate rosse cesserebbero, lo scopo essendo raggiunto: proprio il
fatto che il partito comunista italiano si avvale delle vie democratiche
normali per la conquista del potere e la realizzazione dei suoi postulati
politici, dimostra che l'azione rimproverata ai ricercati esorbita dalle
forme assunte dalla competizione politica odierna in Italia.

    Lo stesso deve dirsi per le incursioni nelle sedi di partiti
all'opposizione, ma di opposta sponda (MSI), o in istituti collegati
con partiti al governo (DC), anche se in codesti casi la connotazione
politica è maggiormente evidente. Il giudizio potrebbe esser diverso,
se i fatti di violenza ritenuti contro i ricercati si fossero verificati
in un altro contesto, così, ad esempio, in occasione di manifestazioni di
piazza: ma nel caso concreto si tratta di preordinate incursioni e colpi
di mano, che esulano affatto dalle forme abituali dell'attività e della
propaganda politica, gravidi di rischi e assolutamente sproporzionati al
fine politico che si propongono di raggiungere.

    Ne viene che per nessuna delle imputazioni può esser ritenuto un
carattere politico predominante, che escluda l'estradizione.

Erwägung 8

    8.- L'estradizione non può nemmeno esser esclusa in applicazione
dell'art. 3 § 2 della Convenzione. Gli opponenti adducono, a tal proposito,
che il fatto per cui le autorità italiane inquadrino i reati loro ascritti
nel più vasto contesto di un movimento estremista e sovversivo, volto
a minare alla base le attuali fondamenta dello Stato, e la circostanza
per cui, accanto alle imputazioni loro rivolte per reati comuni, altre ne
siano ritenute, che vanno collocate nella categoria dei delitti politici
assoluti, devono indurre a ritenere che essi, se estradati, sarebbero
perseguiti per reati di altra natura, o che comunque la loro situazione
arrischierebbe in Italia d'esser aggravata a cagione delle loro opinioni
politiche.

    Le loro asserzioni sono però gratuite. Nulla fa, anzitutto,
pensare che l'Italia non si attenga scrupolosamente al principio della
specialità, sancito dall'art. 14 della Convenzione. La giurisprudenza
italiana, specie della suprema Corte di cassazione, conforta al contrario
l'opinione che detto principio è costantemente e scrupolosamente applicato
(cfr. Repertorio gen. de il Foro Italiano, voce estradizione, anni 1961,
1965, 1966).

    Anche il Dipartimento federale di giustizia e polizia conferma che
le numerose pratiche d'estradizione avute finora con l'Italia non danno
appiglio veruno per pensare che le autorità italiane, nel presente caso,
agiscano diversamente. Né gli opponenti adducono alcun elemento, che possa
concretamente far dubitare dell'indipendenza e dell'obiettività della
magistratura italiana, e far temere che essa - nel rispetto meramente
formale della regola della specialità - possa in realtà prestarsi ad un
aggravamento persecutorio (DTF 95 I 468 consid. 6 e riferimenti) della
situazione dei prevenuti, cui la Svizzera dovrebbe evitare di fornire
occasione o dare assistenza.

Erwägung 9

    9.- Nella sentenza - inedita ed isolata - del 24 gennaio 1962 in re
Ktir, resa in applicazione del Trattato d'estradizione franco-svizzero del
9 luglio 1969, il Tribunale federale, pur avendo constatato che al reato
non poteva riconoscersi, in applicazione del diritto svizzero, il carattere
politico predominante che osta all'estradizione, ha tuttavia rifiutato
quest'ultima in virtù della regola della reciprocità, essendo giunto
alla conclusione che, nel caso inverso, la Francia avrebbe riconosciuto
il carattere politico del reato, e di conseguenza non avrebbe estradato
alla Svizzera.

    a) Contrariamente a quanto ritenuto nella citata sentenza (consid. 4,
a e b) il principio della reciprocità non ha nel diritto estradizionale
svizzero una portata assoluta, e comunque non la stessa in tutti i
settori. Quest'opinione, d'altronde, coincide con quella del Consiglio
federale (cfr. Messaggio 1o marzo 1966, FF 1966 I pag. 447 segg.).

    Che la regola non costituisca un postulato irrinunciabile risulta già
dall'art. 1 cpv. 1 LEstr., in virtù del quale il Consiglio federale può
consentire l'estradizione, sia pure eccezionalmente, anche senza riserva
di reciprocità.

    Secondo la giurisprudenza (sentenza Sperber del 1o giugno 1934,
consid. 4), il corollario più importante della regola della reciprocità
è costituito dal principio della doppia incriminazione. Ma anche a questo
riguardo, si riscontrano, fra i trattati conclusi dalla Svizzera, casi in
cui essa si è impegnata ad estradare, nonostante che il requisito della
doppia incriminazione non potesse adempiersi: basti ricordare il cessato
trattato italo-svizzero, che prevedeva l'estradabilità all'Italia per
il reato d'associazione per delinquere, non punibile secondo la legge
svizzera (DTF 5 pag. 228; 17 pag. 454 consid. 1; sentenza inedita Nesti
dell'8 giugno 1966; DTF 95 I 466).

    La ragione per cui la doppia incriminazione costituisce un principio
fondamentale sta comunque in questo: che se il fatto non è punibile nello
Stato richiedente, l'estradizione non ha senso; mentre se esso non è
punibile nello Stato richiesto, ripugna all'ordine pubblico adottare -
ai soli fini dell'assistenza giudiziaria internazionale a favore dello
Stato richiedente - misure coercitive gravissime nei confronti di una
persona che - avesse agito nello Stato richiesto - sarebbe innocente.
   È chiaro che questa motivazione non può esser addotta,
allorquando per rifiutare l'estradizione lo Stato richiesto invoca la
clausola eccettuativa del reato politico. Il fatto di considerare come
politico l'atto imputato esclude bensì l'estradizione, ma non la punibilità
secondo le leggi dell'uno o dell'altro Stato.

    Certo, il trattato franco-svizzero, cui la sentenza Ktir si riferisce,
si limita ad escludere l'estradizione per reati politici (art. 2, cpv. 1)
senza precisare se tale nozione debba determinarsi secondo il diritto
dello Stato richiesto, o dello Stato richiedente, o d'entrambi. A rigore,
pertanto, si può ancora sostenere che resti spazio per l'applicazione
della regola della reciprocità. Ma sembra che - persino nell'ambito
di quel trattato - il ricorso ad essa costituisca un fuor d'opera, e
sia difficilmente conciliabile con la pretesa - elevata costantemente
dalla Svizzera - di giudicare del carattere politico di un'infrazione
esclusivamente in base al proprio diritto. Tuttavia, la questione può
essere lasciata aperta, perché la giurisprudenza citata non può applicarsi
alla Convenzione europea d'estradizione.

    b) Questa, all'art. 3 § 1, stabilisce espressamente la competenza
unilaterale dello Stato richiesto per giudicare del carattere politico del
reato, ed unilateralmente conferisce al § 2 allo Stato richiesto la facoltà
di rifiutare l'estradizione, ove tema che la situazione del ricercato
sia nello Stato richiedente peggiorata per determinati motivi. Se, per
lo Stato richiesto, la clausola eccettuativa dell'art. 3 § 1 e 2 non è
adempiuta, sussiste l'obbligo di estradare in virtù dell'art. 1, "le regole
e le condizioni" della estradizione ivi menzionate essendo adempiute,
e non resta spazio per il ricorso al principio della reciprocità. Se non
fosse così, all'art. 3 si sarebbe dovuto prevedere che l'estradizione va
negata tanto nell'ipotesi che il reato sia considerato come reato politico
dalla parte richiesta, quanto nell'ipotesi ch'esso sia da considerarsi
tale in applicazione della legge dello Stato richiedente. Questa
interpretazione è avvalorata dalla circostanza per cui, all'art. 26
§ 3 della Convenzione, il ricorso alla regola della reciprocità è
menzionato solo a proposito delle riserve formulate dalle Parti contraenti
sulle singole disposizioni della Convenzione, e non in maniera affatto
generale. La tesi dell'inapplicabilità della regola della reciprocità in
casu trova conferma ulteriore nell'art. 2 § 7 della Convenzione. Questo
stabilisce che ciascuna Parte può applicare detta regola, per quanto
concerne i reati esclusi dal campo di applicazione della Convenzione in
virtù dello stesso art. 2. Se il principio tornasse applicabile anche
quando la parte richiesta rifiuta l'estradizione in virtù dell'art. 3,
§§ 1 e 2, la Convenzione, all'art. 3, l'avrebbe espressamente detto.

    Non occorre pertanto esaminare se, nel caso inverso, l'Italia
estraderebbe i ricercati alla Svizzera.

Entscheid:

              Il Tribunale federale pronuncia:

    Le opposizioni sono respinte, ed è accordata l'estradizione
all'Italia di

    a) Heidi Morlacchi per i fatti relativi alle rapine avvenute il 30
luglio 1971 ai danni della Banca di Trento e Bolzano in Pergine e il 15
marzo 1972 presso la sede del M.S.I. di Cesano Boscone, come all'ordine
di cattura 31 luglio 1975 del Consigliere istruttore presso il Tribunale
di Milano;

    b) Pietro Morlacchi, per i fatti relativi alla rapina del 30 luglio
1971 in Pergine, e per quelli relativi all'incursione nel centro di Studi
"Don Sturzo", avvenuta a Torino il 2 maggio 1974, e meglio come al mandato
di cattura del 10 maggio 1974 del Sostituto Procuratore della Repubblica
di Torino, con il rilievo che l'estradizione non è richiesta, né accordata,
per l'imputazione di partecipazione ad associazione sovversiva.